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Buffer ETF, lo strumento a copertura ma non per tutte le stagioni

I buffer etf, attraverso l’uso di opzioni, forniscono una protezione parziale contro le flessioni del mercato. Uno strumento utile ma da usare con intelligenza, come suggerisce uno studio di AQR Capital Management.

Secondo uno dei colossi del risparmio gestito, la statunitense BlackRock, c’è una tipologia di ETF destinata a triplicare il suo patrimonio da qui al 2030, portandolo a qualcosa come 650 miliardi di dollari. Stiamo parlando dei cosiddetti “Buffer ETF“, noti anche come defined-outcome ETF. Ma cosa sono e sono davvero validi?

I Buffer ETF rappresentano una strategia d’investimento che combina l’efficienza degli Exchange Traded Funds (ETF) con l’uso di opzioni per fornire una protezione parziale contro le flessioni del mercato. Questi strumenti agiscono come un “cuscinetto” che, entro un certo intervallo di ribasso, riduce l’impatto negativo sui rendimenti. Si tratta di strumenti che impiegano strategie basate su opzioni (ad esempio opzioni put) per attenuare le perdite fino a un livello predefinito. Se il mercato scende, l’investitore subisce una perdita inferiore rispetto a quella potenzialmente registrabile senza protezione.

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Ovviamente c’è anche il rovescio della medaglia. In cambio della protezione al ribasso, la partecipazione ai guadagni in fasi di mercato molto rialziste è solitamente limitata. Questo trade-off significa che in periodi di forte crescita, il fondo potrebbe non beneficiare pienamente del rally. Va da sé, inoltre, che la gestione delle opzioni e la complessità strutturale comportano costi aggiuntivi, che incidono sui rendimenti netti.

Introdotti nel 2020, questi ETF sono tornati di moda negli ultimi mesi, con i mercati azionari sovente capricciosi e una sensibilità alla perdita che si è fatta più marcata tra gli investitori. Ma convengono? La risposta è, come al solito, dipende. A motivarla ci pensa uno studio pubblicato recentemente da Cliff Asness e Daniel Villalon per AQR Capital Management.

Lo studio di AQR analizza in dettaglio le strategie basate su opzioni, come quelle adottate dai Buffer ETF e suggerisce alcune riflessioni. In primo luogo evidenzia come questa tipologia di strumenti possa attenuare significativamente il downside, limitando le perdite in scenari di forte ribasso. Allo stesso tempo si sottolinea come uno degli aspetti centrali sia il compromesso tra la protezione offerta e la capacità di partecipare pienamente ai rialzi. In altre parole, se da un lato la strategia riduce il rischio di perdite elevate, dall’altro limita i guadagni in caso di forti trend positivi.

I risultati mostrano che in ambienti di alta volatilità, dove il rischio di ribasso è maggiore, queste strategie possono risultare particolarmente utili. Tuttavia, in mercati laterali o in periodi di crescita moderata, il costo implicito delle opzioni può erodere parte dei benefici attesi.

I numeri sembrano confermarlo. Analizzando l’andamento di 99 Buffer ETF, Asness e Villalon hanno trovato che la maggior parte di questi ha ottenuto risultati peggiori rispetto a portafogli vanilla su base quinquennale.

La semplice strategia di utilizzare un’esposizione azionaria con un indice passivo, investendo il resto in titoli del Tesoro, ha ottenuto performance migliori rispetto alla strategia a copertura. Nel complesso solo una modesta percentuale di ETF ha registrato rendimenti aggiustati per il rischio più alti di semplici portafogli “bilanciati”.

In conclusione, potremmo dire che l’adozione dei Buffer ETF può avere un suo perchè ma deve essere ponderata in funzione degli obiettivi dell’investitore e del contesto di mercato, poiché la protezione contro il ribasso ha un costo significativo in termini di potenziale riduzione del rendimento.

Foto di StockSnap

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