A nemmeno un mese dalle elezioni, il presidente eletto Donald Trump spara la sua prima raffica di dazi. Colpi a salve per preparare la fase di negoziazione o un modo per tastare il polso dei mercati alla vigilia di una nuova fase protezionistica?
In queste ore analisti ed investitori si interrogano sull’esatto significato di quanto dichiarato da Trump. E le indicazioni che si possono trarre sono molteplici e tutte interessanti. Ma partiamo dal fatto: il presidente eletto ha annunciato che tra le prime azioni di governo ci sarà l’imposizione di dazi sulle importazioni da Messico, Canada e Cina. 25% per le prime due, 10% addizionale per l’import cinese. La motivazione addotta – particolare non secondario – è lo scarso impegno dei governi di questi paesi nel combattere l’ingresso di droghe e immigrati irregolari nel territorio statunitense.
La prima riflessione emersa è relativa ai paesi coinvolti. Messico, Canada e Cina, infatti, rappresentano il 40% del commercio statunitense e nella prima amministrazione Trump sono stati protagonisti delle due principali operazioni di politica commerciale dell’amministrazione repubblicana. Qualche analisti ha già parlato di “aria da deja vu”. Uno dei punti della prima campagna elettorale repubblicana era l’abolizione del trattato commerciale NAFTA che regolava dal 1994 gli scambi tra USA, Canada e Messico. Un anno dopo, nell’ormai lontano maggio del 2019, l’anno di riferimento per chi volesse capire cosa significa la politica tariffaria targata Trump, il presidente dichiarò di voler imporre dazi del 10% al Messico come risposta all’immigrazione clandestina proveniente da quel paese. Il risultato? Nel 2018 Trump siglò con i partner confinanti il nuovo US-Mexico-Canada Agreement e nel 2019 USA e Messico trovarono l’accordo sulla questione immigrazione e i dazi non furono mai imposti. Della serie: contrattiamo!
Che i dazi siano soprattutto uno strumento di contrattazione lo va ribadendo da molto tempo anche Howard William Lutnick, l’uomo che nella nuova amministrazione Trump sarà il segretario al commercio. Intervistato qualche giorno fa dalla CNBC, Lutnick ha più volte ribadito che le tariffe sono un “tool”, uno strumento politico da utilizzare per negoziare rapporti commerciali più equi.
Altra riflessione che si sente fare dopo l’annuncio di Trump è che il presidente eletto parli a nuora perchè suocera intenda. E la suocera in questione è l’Europa, con la quale i punti di frizione non sono pochi. Dalle parti di Bruxelles le cose dal 2016 ad oggi sono cambiate e la politica europea ha ora a disposizione diversi strumenti legislativi per “contrattaccare” di fronte all’imposizione di nuovi dazi da parte statunitense. Sui mercati finanziari del vecchio continente, però, l’annuncio è bastato per far andare in rosso le principali piazze di contrattazione, con azioni quali Stellantis NV e Volkswagen AG particolarmente colpite.
Per alcuni sono proprio i mercati finanziari il primo vero target dell’annuncio di Trump. Una sorta di test per capire le reazioni degli investitori. C’è così chi sostiene che l’intensità della politica protezionistica della nuova amministrazione sarà proporzionata all’accoglienza che questa potrà avere sui mercati finanziari. Una risposta non troppo negativa potrebbe suggerire di insistere in maniera più massiccia; del resto questo è quello che accadde nel quadriennio 2016-2020.
Foto di Bahonya