Incertezza e propensione al consumo, una relazione non del tutto lineare

In momenti di incertezza la propensione al consumo, stando ai modelli economici classici, dovrebbe calare. Nella realtà può succedere qualcosa di differente.

Una delle condizioni alla base della stragrande maggioranza dei modelli economici è che gli operatori coinvolti (consumatori, imprese, governi) agiscano in maniera razionale. L’esperienza di tutti i giorni ci suggerisce che ipotizzare la razionalità nelle azioni è probabilmente una forzatura, e questo si trasforma in un elemento di estrema debolezza per i modelli che la prevedono.

Prendiamo ad esempio il tema dei consumi. La teoria economica ci ha sempre detto che le persone ogni giorno decidono spinte da due forze: la propensione al consumo e la propensione al risparmio. E la decisione di far prevalere la prima o la seconda dipende da elementi soggettivi e da fattori esterni (quantità di moneta, tassi di interesse, redditi…). Se utilizzassimo l’ipotesi della razionalità nell’agire degli operatori economici, potremmo spingerci a considerare valida un’affermazione di questo tipo: di fronte al peggioramento delle aspettative sulle proprie finanze personali un soggetto sceglierà di ridurre la quantita di consumo per aumentare quella del risparmio.

Sotto il punto di vista logico il ragionamento non fa una piega, risparmi qualcosina oggi per non ridurre troppo i tuoi consumi domani. Di fronte all’incertezza, quindi, un soggetto razionale aumenta la propensione al risparmio e riduce quella al consumo. E questo concetto è, nei fatti, anche la paura di chi guarda al futuro della crescita economica dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. La minaccia di un conflitto lungo e per certi versi imprevedibile, ed i suoi effetti sui prezzi attuali e futuri, potrebbero spingere i consumatori a scegliere di ridurre drasticamente le spese, indebolendo la domanda aggregata.

Ma forse ci sfugge qualcosa. E l’indizio ci arriva da uno studio condotto da due economisti, Bruno Albuquerque dell’FMI e Georgina Green della BoE, i quali hanno deciso di analizzare i risultati di un sondaggio condotto in Inghilterra nel 2020. Nel bel mezzo del primo critico anno di pandemia, l’ Understanding Society Covid-19 Study chiedeva, tra le altre cose, come gli intervistati si sarebbero comportati nei tre mesi a seguire di fronte all’erogazione di un bonus una tantum di 500 sterline. Nel pieno di una pandemia e di una crisi economica senza precedenti, i nostri sensi razionali si aspetterebbero una risposta molto semplice e diretta: risparmio.

I risultati del sondaggio ci dicono tutt’altro. Il 78% degli intervistati ha risposto che non avrebbe modificato la propria propensione al consumo, un 20% che avrebbe speso di più e solo un esiguo 4% dichiara che avrebbe messo il malloppo da una parte. Ed in questa minoranza i ricercatori hanno notato la presenza soprattutto di chi era quasi certo di non avere abbastanza risorse per far fronte alle spese future. In altri termini la propensione al consumo di fronte all’incertezza sembra calare significativamente solo in condizioni finanziarie già traballanti. Più che la razionalità, la realtà dell’estratto conto, potremmo dire.

Gli autori dello studio ci ricordano che, dove la teoria classica del consumo sembra rimanere senza argomenti, è la teoria comportamentale a poter dire qualche parola in più. Albuquerque e Green sottolineano come nei modelli comportamentali gli individui tendano a suddividere redditi e spese in differenti conti “mentali”, isolati uno dall’altro. Questa divisione renderebbe più gestibile l’incertezza, riducendo l’impatto di una variazione dei redditi sulla propensione al consumo.

Foto di usa-reiseblogger

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