Gender gap e mondo del lavoro. Nuovi dati sull’effetto pandemia

Gli ultimi dati sul gender gap nel mondo del lavoro confermano come la pandemia abbia accentuato il divario occupazionale tra uomini e donne. Ma non vanno dimenticate condizioni politiche ed economiche che sono alla base di un trend di più lungo periodo.

Un interessante studio del Peterson Institute offre nuovi dati sulla questione del gender gap nel mondo del lavoro. L’analisi della situzione in 43 paesi all’indomani dell’anno orribile, il 2020, mostra il chiaro ruolo acceleratore che la pandemia ha svolto nella disparità di accesso al mercato del lavoro tra uomini e donne, ma ricorda allo stesso tempo come esistano trend di più lungo periodo e condizioni politiche ed economiche che giocano un ruolo fondamentale nell’alimentare, o meno, questa disuguaglianza.

La ricerca, condotta da Simeon Djankov, Pinelopi Koujianou Goldberg, Marie Hyland e Eva Yiwen Zhang è riassunta in un report dal titolo “The Evolving Gender Gap in Labor Force Participation during COVID-19“, di cui proviamo a riassumere alcuni degli aspetti essenziali.

Si parte da una considerazione che è ormai riconosciuta da tutti gli economisti. La recessione che è scaturita dalla pandemia ha colpito in maniera più pesante l’occupazione femminile. Questo per almeno tre motivi. Il primo è la massiccia presenza di lavoratrici nei settori costretti a chiudere per le norme anti contagio. Il secondo motivo deriva dalla tipologia di contratto più colpito dalla crisi: i lavoratori a tempo determinato sono stati i primi a cadere sotto i colpi della crisi, ed anche in questo caso la percentuale di donne è stata maggioritaria. Il terzo motivo è legato allo sbilanciamento verso le donne delle incombenze legate alla cura dei figli. La chiusura delle scuole dell’infanzia ha così costretto milioni di lavoratrici a scegliere tra lavoro e famiglia.

L’intensità con la quale la pandemia ha accentuato il gender gap nel mondo del lavoro, spiegano i ricercatori del PIIE, cambia da paese a paese. Tra i 43 presi in esami si evidenzia come in alcuni casi il gender gap abbia subito una forte accelerazione. Cile e Colombia guidano questa pessima classifica, ma al terzo posto compare l’inaspettata Finlandia. Gli stessi Stati Uniti hanno sofferto un allargamento del gender gap, con ben 2.5 milioni di donne costrette a non lavorare. Dall’altra parte della barricata, paesi quali Lussemburgo, Lituania e Malta hanno visto ridursi nel 2020 la differenza di occupazione tra uomini e donne. Altro dato interessante: lo studio mostra come altri stati, principalmente europei, abbiano ridotto o mantenuto almeno stabile il gap anche nel 2020 (Regno Unito, Belgio, Austria ed Irlanda tra questi).

Come si diceva in precedenza, la pandemia ha “solo” acuito un problema che da decenni le economie mondiali si portano dietro. Lo studio del PIIE, analizzando i dati degli ultimi 30 anni, conferma alcune tendenze. La prima è che la disparità di genere colpisce di più nei paesi a più basso livello di Pil pro-capite, la seconda è che la presenza di una legislazione a favore della parità di genere (ne parlavamo poco tempo fa) ha contribuito a limitare gli effetti della crisi pandemica.

L’ultimo aspetto della ricerca ci ricorda quanto gli eventi a cui abbiamo assistito – e che stiamo ancora vivendo – siano eccezionali. Paesi che nel pre-crisi si erano dotati di importanti – e fondamentali nel lungo periodo – presidi a protezione dei lavoratori temporanei ed a supporto della genitorialità, non sembrano averne ottenuto particolari benefici nel corso del 2020 in termini di maggior controllo del gender gap.

Foto di StartupStockPhotos

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