Inflazione, occupazione. Ma anche esportazioni verso gli Stati Uniti ed entrate fiscali. I primi numeri sugli effetti dei dazi USA cominciano ad emergere con più ombre che luci.
Il punto di partenza non può che essere l’ultimo report ufficiale disponibile sull’andamento dell’inflazione negli Stati Uniti. I dazi, come abbiamo oramai imparato, non sono altro che una tassa aggiuntiva sui consumi e la loro manifestazione ultima è sui prezzi finali. Come raccontava qualche giorno fa la CNBC, alcune categorie di prodotti importati (abbigliamento, accessori, materie prime) stanno registrando incrementi di prezzo che sono legati direttamente ai dazi. L’80% del caffè che viene lavorato negli USA, ad esempio, arriva dall’America Latina e principalmente dal Brasile, paese colpito – più per questioni politiche che di deficit commerciale – con dazi al 50%. Il risultato? In agosto i prezzi al consumo del caffè sono saliti di oltre il 20% rispetto a 12 mesi prima. Ma si tratta solo della punta dell’iceberg: i ricambi per auto sono saliti del 3%, i prezzi degli orologi (ci torneremo tra poco) sono cresciuti in un anno del 5%, l’arredamento del 10% e via discorrendo.
Come ricorda uno studio del PIIE di qualche settimana fa, negli ultimi mesi l’inflazione complessiva (CPI) USA ha accelerato: i dazi stanno filtrando nell’economia, anche se in molti casi l’effetto è diluito nel tempo perché le imprese hanno cercato di assorbire parte del costo o hanno usato scorte già importate.
Si arriva così al secondo punto: gli effetti dei dazi sulle imprese statunitensi. Sempre secondo il PIIE è proprio il tessuto produttivo statunitense che per il momento sta soffrendo maggiormente il peso delle nuove tariffe commerciali. In particolare sono le imprese che importano componenti, materie prime o prodotti finiti che stanno sopportando i costi maggiori. In alcuni casi non possono trasferire subito i rincari al consumatore, finendo per comprimere i margini pur di non perdere quote di mercato. In altri casi le aziende sono ricorse a massicci acquisti di scorte nel periodo pre-dazi, usando il costo storico del magazzino per impostare i prezzi finali e ritardare così il trasferimento dell’effetto dazi sui consumatori.
Ma gli effetti dei dazi USA cominciano a farsi sentire anche al di fuori dei confini nazionali. Citavamo in precedenza l’aumento dei prezzi degli orologi, il riferimento, evidente, è alle esportazioni svizzere verso gli Stati Uniti. Nel mese di agosto le esportazioni elevetiche verso gli USA, al netto dell’oro e destagionalizzate, sono calate del 22% su base annua; le vendite di orologi sono scese del 17% sempre su base annua. Sempre ad agosto la corsa al lingotto svizzero da parte dei compratori statunitensi è scesa del 99% rispetto al mese precedente, fermandosi ad un misero +0,3%.
Un altro esempio arriva dalla Malesia, paese che ha negli USA uno dei principali partner commerciali. Sempre ad agosto, le esportazioni verso gli Stati Uniti sono scese del 16% rispetto ad un anno fa, con un calo degli scambi commerciali tra i due paesi che ha toccato il 25% su base annua.
Per concludere, non si può non gettare uno sguardo sulle variabili macro dell’economia statunitense. Sul PIL gli eventuali effetti si potranno vedere solo verso fine anno. Secondo stime della Budget Lab di Yale, con l’attuale regime di dazi, si prevede che il PIL reale USA nel 2025 e 2026 sarà più basso di circa 0,5 punti percentuali all’anno, rispetto a uno scenario senza questi dazi. Anche l’occupazione ne sta risentendo: la disoccupazione è vista in salita di qualche decimale percentuale, con un minor numero di posti di lavoro creati rispetto a quanto si sarebbe atteso senza i dazi.
La domanda che sorge spontanea osservando velocemente questi dati è se vale la pena imporre questi dazi. La risposta che al momento si può dare non può che basarsi sui numeri, e precisamente quelli delle maggiori entrate fiscali di cui dovrebbe beneficiare il bilancio statunitense. E vediamoli questi numeri grazie al tariff tracker del PIIE. Da gennaio 2025 fino a luglio 2025, le entrate derivanti dai dazi ammontano a 122 miliardi di dollari. Questo importo copre circa il 6,5% del deficit federale previsto per l’anno fiscale 2025, che è stimato in circa 1,9 trilioni di dollari. In termini di entrate complessive federali (tutte le tasse, non solo dazi), il gettito daziario fino ad oggi rappresenta circa il 2,4% del totale delle entrate previste nel 2025 (che sono intorno ai 5,2 trilioni di dollari). Non ci sembra necessario aggiungere altro.
Foto di Markus Kammermann