Quante tensioni sui mercati. Europa, Cina o Stati Uniti? In questo finale di settimana si ha solo l’imbarazzo della scelta e se ci si mette anche l’analisi tecnica…
Partiamo da Twitter, dove l’account del presidente americano Donald Trump sta superando, per importanza, lo studio ovale. L’ultimo cinguettio prende di mira il Messico e minaccia l’introduzione di dazi (sempre loro) sulle merci importate da quel paese. La motivazione? L’irrisolto problema dell’immigrazione clandestina. 5% dal 10 luglio, a salire successivamente fino al 25%. I mercati l’hanno presa maluccio ma a quanto pare al presidente americano la strategia del “batti un pugno e vedi cosa succede” piace, e molto.
Non piace per niente alla Cina che vede i dati del settore manifatturiero peggiorare anche a causa dei dazi statunitensi. Allo studio, stando ai rumors, ci sarebbe una corposa controffensiva nei confronti delle aziende americane che fanno affari in terra cinese. Apple già trema sui listini, ma non sono poche le aziende che potrebbero rivedere presto al ribasso le previsioni di crescita per il 2019. I mercati cominciano a sudare.
La strategia USA non piace affatto nemmeno in Europa. Gli investitori hanno il sospetto che il vecchio continente sarà la prossima vittima della nuova ondata di strali protezionistici di Trump. Europa che, dal canto suo, vive uno dei momenti più tribolati della sua recente vita comunitaria.
Le elezioni europee hanno lasciato sul tappeto strascichi pesanti. La bomba Brexit sembra pronta a deflagrare nel bel mezzo delle trattative per la formazione di una nuova commissione.
All’estremo opposto dell’Unione, l’Italia sembra ripiombata in un clima da campagna elettorale (ancora). In attesa di capire quale saranno le conseguenze della risposta alla lettera di “warning” inviata da Bruxelles, si segnalano due eventi poco incoraggianti. Da un lato il rendimento dei titoli a 5 anni raggiunge quello dei titoli di pari durata greci (si proprio lei, la Grecia che noi non siamo o non saremmo dovuti essere); dall’altro, in Parlamento, passa una mozione nella quale si dichiara ammissibile l’utilizzo di titoli di stato di piccolo taglio come metodo di pagamento dei debiti della PA. Titoli di stato, leggasi minibot, che tanto somigliano ad una moneta parallela (vietata dai trattati europei).
Il tutto avviene mentre l’ISTAT rivede (al ribasso) i dati sulla crescita del primo trimestre 2019. Il PIL è cresciuto dello 0,1% rispetto ai tre mesi precedenti (e non dello 0,2% stimato in precedenza) e, cosa più preoccupante, è calato dello 0,1% su base annua (cioè rispetto al primo trimestre 2018, in precedenza si stimava un +0,1%). In parole povere, l’Italia è al palo. I mercati sudano anche l’ottava camicia.
A complicare il weekend sembra mettersi anche l’analisi tecnica. In settimana lo S&P500 ha rotto il supporto costruito sulla media mobile a 200 giorni, scivolando sotto ad un livello che, nella tradizionale interpretazione dei grafici borsistici, indica un incremento del rischio di inversione del trend di medio termine. In realtà, di tutte le tensioni sui mercati che abbiamo citato nel post, questa pare la meno critica. Ma, con i nervi tesi che si ritrovano gli investitori, tutto (non) aiuta.