Mentre si avvicina l’appuntamento con la COP30, serpeggia un certo sconforto per la sempre minore visibilità riservata alle tematiche relative al cambiamento climatico e dei suoi effetti sull’economia. Eppure le ricerche ne confermano l’importanza.
Un recente studio pubblicato nel Research Bulletin della BCE smonta l’idea che i danni del riscaldamento globale siano soltanto costi “futuri” o astratti. Gli autori — Andrea Caggese, Andrea Chiavari, Sampreet Goraya e Carolina Villegas-Sanchez — analizzano come ondate di calore estremo – uno dei principali effetti del cambiamento climatico – influiscano sulla performance delle imprese (in questo caso, quelle italiane), e come questi effetti si sommino erodendo la produttività aggregata dell’economia.
Leggendo i risultati della ricerca si scopre che ogni giorno in più con temperature superiori a 40 °C corrisponde a quasi -0,8 % di vendite perse in media per impresa. Le aziende reagiscono tagliando lavoro e materie prime, ma non riescono quasi mai a ritirare né riallocare il capitale fisso: le macchine rimangono accese anche se sottoutilizzate, generando inefficienze nella produttività marginale del capitale.
È qui che entra in gioco la componente “indiretta”: in un’economia priva di rigidità, se metà del territorio fosse colpito da uno shock climatico che riduce la produzione del 20 %, le imprese non colpite ne compenserebbero una parte — e la produttività aggregata non crollerebbe. Ma quando le imprese non possono aggiustare input o ridistribuire il capitale, il risultato è uno squilibrio e una perdita di rendimento collettiva: in uno scenario del genere, la perdita aggregata stimata sarebbe dell’ordine di -10 %.
Proiettando queste dinamiche su scenari di riscaldamento globale, gli autori costruiscono funzioni di danno aggregato e stimano che un aumento medio di 2 °C provochi una perdita di produttività dell’1,68 %, più di quattro volte la stima che si otterrebbe con un metodo “naïve” (0,39 %). Se il riscaldamento toccasse i 4 °C, la perdita salirebbe addirittura a circa 6,81 %.
Un elemento interessante: le regioni più povere dell’Italia non subiranno soltanto temperature più elevate, ma anche maggiori danni in percentuale; mentre le aree più ricche tenderanno a presentare perdite più contenute. In questo senso il cambiamento climatico rischia di amplificare le disparità territoriali ed alimentare quel divario economico già segnalato dai BES.
Le politiche ambientali non devono limitarsi a mitigare le emissioni, ma devono integrare strumenti che riducano le rigidità che impediscono alle imprese di adattarsi. Incentivi per tecnologie climaticamente resilienti, investimenti mirati e supporto alle aree più vulnerabili diventano parte fondamentale di una strategia economica coerente con queste sfide.
Foto di Gerd Altmann







