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L’atteso discorso di Stephen Miran e quel “sospetto” richiamo al tasso neutrale come bussola per la Fed

Il governatore della Fed Stephen Miran difende la necessità di tassi più bassi e mette al centro il tasso neutrale, tra regola di Taylor, rischi di politica troppo restrittiva e sospetti di possibili pressioni politiche

Era uno degli appuntamenti più attesi di questo inizio settimana, e le aspettative non sono state deluse. Parliamo del discorso tenuto ieri al New York Economic Club dal neo governatore Stephen Miran, il “dissidente” dell’ultima riunione della banca centrale.

In estrema sintesi, Miran ha ribadito la sua posizione, ma a colpire è soprattutto il forte riferimento alla centralità degli elementi non monetari e al tasso di interesse neutrale.

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Il suo intervento si è aperto con un richiamo diretto alla regola di Taylor, il modello economico elaborato da John B. Taylor nel 1993 che fornisce una formula per determinare il tasso di politica monetaria in base a tre variabili principali: inflazione, tasso di interesse neutro (ossia il livello che non stimola né frena l’economia) e divario produttivo (output gap).

Miran ha riconosciuto l’utilità della regola di Taylor come guida indicativa, ma ha sottolineato che non va seguita in modo rigido. A suo avviso, infatti, la regola tende a sottovalutare l’importanza del tasso neutrale, il quale è fortemente influenzato da fattori strutturali. L’invecchiamento della popolazione, i cambiamenti fiscali e le restrizioni all’immigrazione, secondo Miran, hanno ridotto il tasso neutrale negli Stati Uniti rispetto alle stime tradizionali. Tradotto in parole semplici, il messaggio è che le politiche su immigrazione, dazi e detassazione varate dall’amministrazione Trump avrebbero contribuito ad abbassarlo. Numericamente, l’attuale tasso neutrale sarebbe attorno al 2,5% contro la stima media elaborata dalla Fed del 3%.

Seguire la regola di Taylor senza considerare questi cambiamenti, e quindi mantenere i tassi troppo alti rispetto al livello neutrale, rischierebbe di produrre una politica monetaria eccessivamente restrittiva. Per questo Miran ha proposto una riduzione dei tassi della Federal Reserve di circa due punti percentuali, portandoli nella fascia tra il 2,75% e il 3%, così da allinearli meglio alle condizioni economiche attuali e sostenere la piena occupazione senza compromettere la stabilità dei prezzi.

Ha poi ribadito la necessità di una politica monetaria più flessibile e reattiva ai cambiamenti strutturali dell’economia, annunciando l’intenzione di continuare a promuovere riduzioni dei tassi anche se ciò lo pone in minoranza all’interno del Federal Open Market Committee. Una posizione, la sua, che si scontra con quella di altri tre governatori (Bostick, Musalem e Hammack), i quali giudicano l’inflazione ancora troppo elevata e considerano prematuro un allentamento della politica monetaria.

Per Miran, il tasso neutrale rappresenta il fulcro della politica monetaria: è il livello “giusto” di interessi capace di bilanciare stabilità dei prezzi e piena occupazione. Una presa di posizione forte, che però lascia spazio a dubbi e a qualche sospetto.

Va ricordato che il tasso neutrale non è osservabile direttamente: si tratta di una stima, elaborata tramite modelli economici e dati storici. A seconda dei metodi e delle assunzioni, le valutazioni possono differire anche di 1-2 punti percentuali, un margine tutt’altro che trascurabile.

Questa incertezza implica che puntare troppo sul tasso neutrale rischia di ridurre l’aderenza immediata della politica monetaria ai dati macroeconomici. D’altro canto, se usato come riferimento insieme all’analisi dei dati reali, può rendere le decisioni più stabili e prevedibili nel lungo periodo.

Fin qui restiamo sul piano tecnico, ma non si può ignorare il contesto politico nel quale queste parole sono state pronunciate: ed è qui che nasce quel “mezzo sospetto”.

Un’ulteriore premessa è necessaria: nel suo discorso Miran ha difeso l’indipendenza della Fed, affermando che le decisioni sono fondate su analisi economiche e non su pressioni politiche. Al momento nulla mette in dubbio la sincerità di questa affermazione.

Detto ciò, in linea teorica, l’enfasi sul tasso neutrale potrebbe prestarsi a un uso strumentale: se i decisori della banca centrale adottassero una stima particolarmente bassa, avrebbero un forte argomento per giustificare tassi molto ridotti, con effetti di stimolo nel breve periodo. Ciò potrebbe coincidere con obiettivi di governo di carattere elettorale o di sostegno alla spesa pubblica, pur a costo di maggiori rischi inflazionistici nel medio termine.

Un’ultima osservazione riguarda il mercato immobiliare: nell’intervista successiva al discorso, Miran ha collegato le difficoltà della domanda all’elevato livello dei tassi. L’osservazione è fondata, ma va ricordato che la Fed influenza direttamente solo i tassi a breve termine, mentre i mutui dipendono soprattutto dai rendimenti dei titoli del Tesoro a lungo termine, che incorporano le aspettative sul futuro percorso della politica monetaria. Forse un’allusione al celebre “terzo obiettivo” della Fed?

Foto di Federal Reserve

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