Sfondo scuro Sfondo chiaro
Germania, indice Ifo (fiducia imprese) supera le attese a ottobre 2025
Africa, tra grande occasione di riscatto e rischio di colonialismo 2.0

Africa, tra grande occasione di riscatto e rischio di colonialismo 2.0

L’Africa è il nuovo hot spot dell’economia globale. A confermarlo è il ritmo di crescita degli investimenti esteri. Dalle terre rare ai data center, per il continente africano si apre una nuova delicata fase storica, tra potenziale riscatto e rischio di nuovo colonialismo.

L’economia, come del resto qualsiasi sistema presente su questo pianeta, nutre la sua capacità di sopravvivenza attraverso l’adattamento. L’evoluzione, senza scomodare Darwin, non è altro che un processo continuo di adattamento alle mutate condizioni ambientali con lo scopo principale di preservare la specie. E visto che negli ultimi anni le condizioni ambientali per l’economia globale hanno subito cambiamenti significativi, è normale iniziare a notare nuove tendenze e nuovi equilibri.

Questa larga premessa ci consente di arrivare al punto del nostro post: le grandi manovre che stanno interessando l’economia in Africa. Partiamo da una sintesi. Il ritorno del protezionismo e la rivoluzione tecnologica stanno facendo confluire miliardi di dollari di investimenti in infrastrutture, energia, agricoltura e data center in Africa. Il continente che per troppo tempo è rimasto ai margini della crescita globale, sta forse per incontrare un’opportunità di riscossa quasi unica, ma deve sapersela giocare bene per evitare che da opportunità, questa ventata di investimenti internazionali non si trasformi in una sorta di colonialismo 2.0.

Pubblicità

Dalle terre rare congolesi necessarie per le batterie elettriche, al rame zambiano e alle riserve di litio in Zimbabwe, fino ai potenziali corridoi ferroviari e portuali che uniscono Atlantico e Oceano Indiano, l’Africa è oggi il punto d’incontro tra l’industria del futuro e la geopolitica del presente.

Negli ultimi anni, Cina, Stati Uniti, India e Unione Europea hanno moltiplicato gli impegni miliardari per costruire infrastrutture, reti energetiche, data center e impianti agricoli. Secondo la Banca Africana di Sviluppo, gli investimenti infrastrutturali pubblici e privati hanno superato i 100 miliardi di dollari all’anno, il doppio rispetto a un decennio fa.

Per inquadrare ancora meglio la situazione basta citare un po’ di dati. Partiamo da una dei grandi protagonisti di questo fenomeno: la Cina. Stando ai dati raccolti dall’agenzia Bloomberg, da inizio 2025 Pechino ha investito qualcosa come 30,5 miliardi di dollari sul suolo africano. Una cifra che è cinque volte l’intero capitale investito nel 2024. Una mossa strategica che abbraccia progetti di diversa natura: dai parchi industriali in Egitto, alle ferrovie in Nigeria, passando per gli incentivi alla coltivazione di cereali in Angola. Altro dato. La Nigeria sta diventando terra di data center grazie a forti investimenti internazionali, una popolazione giovane e un tasso di alfabetizzazione digitale in rapido aumento. Grandi big internazionali (tra cui Microsoft) e operatori locali stanno investendo quasi 1 miliardo di dollari nella costruzioni di infrastrutture di nuova generazione. Il mercato del cloud che oggi vale 1,3 miliardi di dollari è visto triplicare entro il 2030.

Quanto sta accadendo è una storia che intreccia lotte per il controllo delle materie prime con necessità di diversificazione per sfuggire dalle restrizioni commerciali statunitensi. Anche in questo caso è sufficiente raccontare due notizie apparse di recente su Bloomberg.

La Cina – sempre lei – ha rafforzato il suo vantaggio sugli Stati Uniti nella corsa alle risorse minerarie africane, firmando un accordo da 1,4 miliardi di dollari con Zambia e Tanzania per rinnovare la storica linea ferroviaria che collega la copper belt centroafricana all’Oceano Indiano. Il progetto garantirà a Pechino il controllo di una rotta strategica per l’export di rame, sempre più cruciale per veicoli elettrici e data center. Per lo Zambia, senza sbocco sul mare, la ferrovia offrirà un accesso più efficiente e meno costoso ai mercati globali, riducendo i problemi legati al trasporto su gomma. La linea sarà gestita per 30 anni dalla China Civil Engineering Construction, senza aumentare il debito zambiano. Mentre la Cina accelera, il progetto americano alternativo verso l’Atlantico, sostenuto da Biden con 500 milioni di dollari, resta ancora bloccato.

L’India, invece, progetta di decentralizzare in alcuni paesi africani la produzione di beni destinati agli Stati Uniti, sfruttando dazi più contenuti. Dal canto loro, paesi come Marocco, Nigeri, Etiopia e Botswana offrono alle imprese estere agevolazioni fiscali, aree industriali dedicate e incentivi.

Dietro i numeri record degli investimenti si nasconde un interrogativo cruciale: chi controllerà davvero questa ricchezza?

Se i progetti continueranno a essere finanziati, costruiti e gestiti da imprese straniere con logiche di estrazione e concessione pluridecennale, il rischio è di ripetere vecchi schemi: infrastrutture pensate per esportare risorse, non per integrarle nelle economie locali. Un colonialismo 2.0, meno militare ma non meno pervasivo, basato sul controllo di porti, ferrovie, reti digitali e catene del valore.

Al contrario, se i governi africani sapranno negoziare meglio i termini, favorire la formazione tecnica, attrarre capitale locale e sviluppare imprese nazionali capaci di crescere dentro queste filiere globali, allora il continente potrebbe finalmente trasformare la sua ricchezza in potere economico e sociale. In questo senso, l’iniziativa dell’African Continental Free Trade Area potrebbe rappresentare un elemento fondamentale. Con la promessa di diventare un mercato da 3,4 mila miliardi di dollari entro il 2035, questa vasta area di libero scambio potrebbe rafforzare il peso delle economie africane, rendendo più stabili i conti pubblici e permettendo di chiudere quel gap di infrastrutture (dal valore di oltre 100 miliardi di dollari, secondo le ultime stime) con le altre aree del pianeta.

Il destino dell’Africa nei prossimi vent’anni dipenderà meno da chi investe e più da come si investe. Le grandi potenze stanno cercando in Africa una risposta alle proprie fragilità industriali ed energetiche; l’Africa deve cercare in loro partner, non padroni.

Foto di wurliburli

Resta aggiornato

Gli ultimi articoli di Ekonomia.it direttamente nella tua casella mail. Iscriviti qui sotto.
I dati trasmessi attraverso questo modulo sono trattati secondo la nostra privacy policy, in linea con la normativa vigente. Per nessun motivo verranno ceduti a terze parti o utilizzati per l'invio di messaggi di natura commerciale.
Post precedente

Germania, indice Ifo (fiducia imprese) supera le attese a ottobre 2025

Pubblicità