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Libertà economica, dazi, istruzione, pace. I tanti spunti dell’Economic Freedom of the World 2025

L’ultima edizione dell’Economic Freedom of the World 2025 curato dal Fraser Institute mostra un mondo nel quale la libertà economica resiste ma fa fatica. Se i dazi penalizzano soprattutto gli Stati Uniti, la libertà di lavorare, investire, commerciare favorisce la pace e migliora i livelli di istruzione.

Negli ultimi anni, i grandi rapporti internazionali ci restituiscono un messaggio scomodo: la libertà – in tutte le sue forme – sta arretrando. Il Democracy Index 2024, di cui abbiamo parlato qualche mese fa, racconta di un mondo in cui la qualità democratica continua a deteriorarsi: istituzioni più deboli, cittadini disillusi, regimi autoritari sempre più stabili. Ma c’è un altro tipo di libertà che sembra seguire la stessa parabola: quella economica. A parlarcene è il nuovo rapporto del Fraser Institute, Economic Freedom of the World 2025. Il report mostra che anche la libertà di lavorare, investire, commerciare e possedere è sotto pressione.

In cosa constiste l’Economic Freedom of the World? Dal 1996, il Fraser Institute elabora ogni anno un indice che misura il grado di libertà economica in oltre 165 Paesi. Non è un ranking politico, ma un’analisi di quanto le istituzioni e le politiche pubbliche permettano alle persone di prendere decisioni economiche autonome, nel rispetto dei diritti degli altri.

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L’indice è costruito su cinque grandi aree, a loro volta basate su 45 indicatori:

  • Regolamentazione – analizza la libertà nei mercati del credito, del lavoro e dell’impresa: meno burocrazia significa più libertà.
  • Dimensione del governo – più lo Stato spende e tassa, minore è la libertà economica.
  • Sistema legale e diritti di proprietà – include indipendenza della magistratura, certezza del diritto e tutela della proprietà privata.
  • Moneta sana (Sound Money) – una moneta “sana” mantiene il suo valore nel tempo. Significa inflazione bassa e stabile, libertà di detenere valute estere e assenza di politiche monetarie arbitrarie. Dove la moneta è stabile, i cittadini possono pianificare, risparmiare e investire con fiducia.
  • Libertà di commerciare a livello internazionale – misura barriere, dazi, controlli sui capitali e restrizioni agli scambi.

Nel complesso questi indicatori ci restituiscono una fotografia dai colori sbiaditi. Dopo due decenni di crescita costante, la libertà economica globale ha subito una forte contrazione durante la pandemia. Le restrizioni, l’aumento della spesa pubblica e le politiche monetarie espansive hanno “eroso quasi dieci anni di progresso”. Negli ultimi due anni, però, i punteggi medi sono tornati a crescere leggermente, soprattutto in Europa e in alcune economie emergenti dell’Africa subsahariana e dell’Asia.

Il legame tra libertà economica e benessere resta evidente. Il Fraser Institute sottolinea che le economie più libere sono anche quelle dove si vive più a lungo, si lavora meno e si guadagna di più. Il reddito medio del 10% più povero è quasi otto volte superiore nei Paesi più liberi rispetto a quelli meno liberi, e l’aspettativa di vita è maggiore di 17 anni.

Nel 2023 (ultimo anno disponibile), le economie più libere del mondo sono:
Hong Kong, Singapore, Nuova Zelanda, Svizzera, Stati Uniti, Irlanda, Australia e Taiwan (a pari merito), seguite da Danimarca e Paesi Bassi.

In fondo alla classifica, invece, compaiono Venezuela, Zimbabwe, Sudan, Iran, Algeria, Libia e Myanmar, Paesi segnati da guerre, autoritarismo o crisi monetarie.

Tra le grandi economie occidentali, Canada si piazza all’11° posto, Regno Unito al 13°, Germania al 15°, Giappone al 17°. L’Italia si colloca al 46° posto, stabile rispetto all’anno precedente ma lontana dalle prime posizioni europee. Il nostro Paese mostra discreta stabilità monetaria e apertura commerciale, ma resta frenato da tassazione elevata, lentezza giudiziaria e un apparato burocratico pesante, che penalizzano impresa e investimenti. Anche la Francia (44°) e la Spagna (23°) risentono dello stesso problema: governi ampi, alta spesa pubblica e regole rigide.

L’edizione 2025 del Economic Freedom of the World tocca anche due tra gli argomenti più caldi di questi mesi: la nuova politica commerciale statunitense e i tanti conflitti internazionali in atto.

Il secondo capitolo del rapporto si concentra sugli Stati Uniti e analizza gli effetti della politica commerciale di Donald Trump. Secondo gli autori, Robert Lawson e Matthew Mitchell, l’introduzione di nuovi dazi e restrizioni avrebbe ridotto sensibilmente la libertà di commercio internazionale americana: solo queste misure avrebbero fatto scendere gli USA dal 56° al 76° posto nella classifica parziale sulla libertà di scambio, quasi fuori dalla top ten complessiva.

Il terzo capitolo, firmato da Walker Wright dell’American Enterprise Institute, esplora invece un tema meno economico ma profondamente connesso: il legame tra libertà economica e pace. L’evidenza empirica mostra che le società più aperte e libere tendono a essere anche più pacifiche, perché il commercio e l’interdipendenza economica riducono gli incentivi al conflitto e rafforzano la cooperazione.

Un altro spunto molto interessante lo propone il quarto capitolo di questo studio. Horst Feldmann, professore dell’Università di Bath, approfondisce il legame tra libertà economica e qualità dell’istruzione.
Attraverso l’analisi dei dati PISA e dei punteggi armonizzati della Banca Mondiale per oltre 130 Paesi, Feldmann dimostra che dove esistono mercati più liberi, gli studenti ottengono risultati migliori.

La spiegazione è duplice: da un lato, la libertà economica promuove una gestione più efficiente delle risorse pubbliche e private, dall’altro crea un contesto di maggiore prosperità e competizione che aumenta il rendimento dell’educazione. L’effetto diventa ancora più marcato quando si tiene conto del reddito pro capite: più il Paese è libero e ricco, più l’istruzione diventa efficace e di qualità.

Democrazia, libertà individuali ed economiche sono gli ingredienti che hanno permesso al mondo di progredire dagli inizi dello scorso secolo ad oggi. Ma proprio mentre la tecnologia sembra poter aprire nuovi spazi di progresso, si fa più concreto il rischio di indebolire le fondamenta di una crescita sostenibile.

Dove le persone possono scegliere come vivere e lavorare, si sviluppano anche le istituzioni democratiche, la fiducia e l’innovazione.

Foto di Yuri

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