Nella riunione di ieri, la Federal Reserve ha deciso di mantenere i tassi invariati, adottando un approccio attendista che riflette i rischi ancora presenti su entrambi i fronti del suo duplice mandato: inflazione e piena occupazione. Come ha sottolineato il governatore Jerome Powell, al momento “l’inflazione potrebbe tornare a salire e il mercato del lavoro potrebbe indebolirsi più del previsto” – ma nessuna delle due cose si è materializzata in modo evidente, almeno per ora.
Se la scelta di rimanere fermi almeno fino a dopo l’estate era attesa dai mercati, la sorpresa è arrivata dalla conta interna al board. Due governatori della Fed – Christopher Waller e Michelle Bowman – hanno votato a favore di un taglio dei tassi, segnando il primo “double dissent” dal 1993. Nei prossimi giorni sapremo le motivazioni che hanno spinto al voto contrario, Powell ha anticipato che entrambi hanno ampiamente chiarito le loro posizioni, in una riunione che il governatore ha definito tra le più interessanti che ha presieduto.
Powell ha descritto l’attuale impostazione della Fed come “moderatamente restrittiva”, giustificata da un’inflazione ancora sopra il target e da un mercato del lavoro che, pur mostrando segnali di rallentamento, resta solido. I dati su dimissioni volontarie, offerte di lavoro e tasso di disoccupazione suggeriscono una domanda di lavoro ancora robusta, anche a fronte di un rallentamento nella crescita dell’offerta di manodopera (una dinamica che potrebbe essere legata anche al calo dell’immigrazione, pur non essendo stato menzionato esplicitamente).
Il tema centrale della conferenza stampa è stato l’impatto dei dazi. Powell ha ammesso che “gli effetti non saranno pari a zero” per i consumatori, anche se finora sono stati assorbiti soprattutto da aziende e rivenditori. Tuttavia, questi costi iniziano a riflettersi nei prezzi al consumo, e la Fed si aspetta che il fenomeno prosegua.
Per quanto riguarda l’inflazione dei beni, Powell ha parlato di “primissimi segnali” di impatto, lasciando intendere che il quadro resta incerto. Le imprese, ha osservato, “aumenteranno i prezzi quando e dove possono” – una frase che sottolinea come le pressioni inflazionistiche siano ancora vive, anche se meno pervasive rispetto ai picchi del 2022.
Powell ha definito l’edilizia abitativa come un “caso speciale”. Ha ricordato che la Fed non controlla direttamente i tassi sui mutui, legati piuttosto ai rendimenti dei Treasury a lungo termine. L’unico vero contributo dell’istituto alla stabilità del settore, secondo Powell, è raggiungere l’obiettivo del 2% di inflazione e massima occupazione.
Il punto centrale resta il tempismo. Powell ha ribadito il dilemma: “Se ci muoviamo troppo presto, rischiamo di non risolvere del tutto il problema dell’inflazione e potremmo dover tornare indietro. Se ci muoviamo troppo tardi, potremmo danneggiare inutilmente il mercato del lavoro”. Il messaggio è chiaro: la Fed vuole evitare errori strategici e punta a un aggiustamento graduale ed efficace, ma non ha dubbi sulla necessità di contenere l’inflazione a ogni costo.
Come previsto, Powell ha mantenuto aperte tutte le opzioni per il prossimo meeting di settembre. Nessun impegno esplicito a un taglio dei tassi, ma nemmeno una chiusura netta. Si resta, per ora, in modalità wait-and-see, una posizione che difficilmente entusiasmerà i falchi della Casa Bianca. Come ha notato un analista di Bloomberg Intelligence, “i commenti non sembrano aver preparato il mercato a una mossa a settembre. Saranno le minute e i discorsi a Jackson Hole le vere occasioni per farlo”.
Foto Federal Reserve