Con l’inchiostro delle firme sull’accordo USA-UE ancora fresco, arriva dall’Irlanda un primo avvertimento sulle potenziali conseguenze dei dazi per l’economia dell’area.
Nel secondo trimestre del 2025, dopo cinque trimestri consecutivi di crescita, l’economia irlandese ha registrato una contrazione dell’1%. Numeri in netta controtendenza rispetto all’andamento dei primi tre mesi dell’anno. Nel primo trimestre, infatti, il PIL era cresciuto del 7,4%, con un impatto evidente anche sui dati dell’intera Eurozona.
In entrambi i periodi risulta preponderante l’effetto della nuova politica commerciale statunitense. Va ricordato, infatti, che le esportazioni irlandesi verso gli Stati Uniti rappresentano oltre un terzo del totale. Se nel primo trimestre era stato il forte incremento dell’export a trainare la crescita (una mossa per anticipare l’entrata in vigore dei dazi), nel secondo trimestre il protagonista è stato invece il rallentamento dell’attività industriale — dominata in Irlanda dalle multinazionali — a seguito dell’introduzione della prima barriera tariffaria del 10% e dell’incertezza legata alla portata effettiva dei dazi in uno dei settori chiave, quello farmaceutico, che da solo rappresenta oltre la metà del PIL irlandese.
E nemmeno le notizie provenienti dalla Scozia offrono motivi di rassicurazione. L’accordo raggiunto tra il presidente Trump e la presidente della Commissione Europea Von der Leyen prevede, infatti, una tariffa del 15% sulle esportazioni di farmaci dall’Europa verso gli Stati Uniti, con l’esclusione di alcuni farmaci generici (ma le trattative sarebbero ancora in corso, con punti di vista molto distanti tra le parti). Secondo quanto riportato dall’agenzia Reuters, il conto per l’industria farmaceutica europea si potrebbe aggirirare tra i 13 e i 19 miliardi di dollari, con evidenti prospettive di riorganizzazione dell’attività produttiva da parte dei big del settore.
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