Sfondo scuro Sfondo chiaro

Dazi USA, se il nuovo zero è il 10%

Gli accordi con molte economie asiatiche, compreso il Giappone, sembrano tracciare il profilo dei nuovi dazi USA; una forchetta tra il 10% e il 20% che potrebbe essere accettata dalle imprese, ma che presenta rischi per crescita e prezzi al consumo.

Dopo mesi di incertezza, annunci a sorpresa e minacce di escalation, sembra delinearsi la nuova “mappa” dei dazi statunitensi. Superato il cartellone shock del 4 aprile scorso, l’amministrazione Trump sta completando diversi accordi commerciali, alcuni molto importanti, in grado di dare un po’ di certezze al mondo produttivo.

Il presidente ha annunciato proprio ieri un accordo con il Giappone che fissa i dazi al 15% su esportazioni verso gli Stati Uniti. Nell’accordo sono incluse anche le importazioni di automobili — una svolta importante, considerando che le auto rappresentano la quota maggiore del deficit commerciale tra i due paesi. Il Giappone tira un sospiro di sollievo, e l’accordo potrebbe diventare la piattaforma ideale per portare a termine la trattativa con Corea del Sud ed Unione Europea.

Pubblicità

Riassumendo la situazione, nel giro di qualche giorno, la Casa Bianca ha siglato intese con Filippine e Indonesia al 19%, mentre i dazi imposti ai beni provenienti dal Vietnam si attestano al 20%. Se queste cifre non sono solo frutto della contrattazione con i singoli paesi, ma rappresentano una linea strategica ben precisa, allora Trump sembra voler stabilizzare i dazi nella fascia 15-20%. Un tetto inferiore a quel 25% minacciato ad aprile.

Se questa linea venisse confermata, in un mondo dove “il nuovo zero è il 10%”, come osserva Trinh Nguyen di Natixis (fonte Bloomberg), persino questi livelli diventerebbero accettabili per le imprese, se condivisi da tutti. Secondo Nguyen, infatti, queste percentuali manterrebbero ancora profittevole per le aziende statunitensi importare anzichè produrre in patria.

Anche Goldman Sachs prevede un rialzo dei dazi medi dal 10% al 15%, sottolineando però le possibili ricadute su inflazione e crescita. Ed è qui che le nubi si fanno più dense. Anche se le imprese riusciranno a gestire questi nuovi costi senza dover spostare la produzione, un aggiustamento dei prezzi di vendita sembra inevitabile.

Insomma gli effetti su inflazione e consumi potrebbero essere ancora nascosti dietro l’angolo.

Illustrazione di Gerd Altmann

Resta aggiornato

Gli ultimi articoli di Ekonomia.it direttamente nella tua casella mail. Iscriviti qui sotto.
I dati trasmessi attraverso questo modulo sono trattati secondo la nostra privacy policy, in linea con la normativa vigente. Per nessun motivo verranno ceduti a terze parti o utilizzati per l'invio di messaggi di natura commerciale.
Post precedente

Global Findex Database 2025: il mobile money spinge il risparmio in Africa

Post successivo

3 strategie per rispondere ai dazi USA: ma una sola funziona

Pubblicità