Non è certamente un’estate tranquilla sui mercati azionari. E non poteva essere altrimenti, visto lo scossone provocato dalla nuova politica commerciale statunitense e le tensioni geopolitiche che non sembrano allentarsi. Ma ad alimentare un clima di profonda incertezza c’è anche un altro elemento: le trimestrali USA incredibilmente positive.
Fermi tutti. Ma il fatto che le trimestrali USA siano incredibilmente positive non dovrebbe essere una buona notizia? Si, ma nel quadro più generale, con indicatori macroeconomici che non sembrano molto propensi all’ottimismo, questa infornata di utili che battono le attese crea scompiglio e mette gli investitori di fronte a un dilemma non di poco conto: credere ai dati delle trimestrali o alle tendenze macro che stanno emergendo?
Partiamo dai conti delle società quotate statunitensi: stando ai dati elaborati da Bloomberg Intelligence, al momento, gli utili dalle società dello S&P500 stanno registrando un tasso di crescita superiore al 9%, il triplo di quanto atteso dagli analisti ed il miglior trimestre dal 2021. Avremo modo, in uno dei prossimi post, di analizzare più nel dettaglio l’andamento di questa tornata di trimestrali, ma il dato essenziale è lì, nero su bianco, davanti a noi: le società statunitensi sembrano riuscire a gestire senza troppe sofferenze le grane legate ai dazi.
Mettiamo da parte il fascicolo trimestrali e prendiamo quello relativo ai dati macro. Qui le cose sembrano decisamente diverse. Venerdì scorso abbiamo letto di un mercato del lavoro USA che comincia a dare segni di fatica – numeri che sono persino costati il posto alla direttrice del Bureau of Labor Statistics, tanto erano pessimi per la Casa Bianca. Questa settimana, poi, si è aperta con ordini all’industria in calo e con una inaspettata flessione dell’indice ISM servizi (passi la manifattura, ma quando le cose cominciano a tendere al grigio nel settore servizi…). L’inflazione non scende, rimane lì ferma in una terra di nessuno che non fa tirare respiri di sollievo alla FED e alimenta le tensioni politiche sulla materia. I consumi, dati di giugno, rimangono ancora orientati al rialzo ma con ritmi di crescita blandi.
A questo punto, chiuso e messo da parte anche il fascicolo macroeconomico, la domanda sorge spontanea: sono realmente due letture opposte? E se lo sono, a chi credere? Alle trimestrali che spargono ottimismo, o ai dati macro che invocano prudenza? Quesiti che accompagneranno operatori e analisti nelle prossime settimane, in attesa di altri dati macro e delle decisioni della Fed e ai quali non è semplice dare una risposta.
Sui mercati la narrativa prevalente è che occorra dare fiducia alle trimestrali, sfruttando i potenziali cali di breve termine sui listini per mettere in atto l’oramai inflazionata tecnica del buy on the dip. A rafforzare questa tesi, la quasi certezza che la Fed a settembre dovrà capitolare e procedere con almeno due tagli dei tassi entro la fine dell’anno.
Per chi volesse procedere con maggior prudenza, la chiave di lettura potrebbe essere ancora una volta la tenuta dei consumi delle famiglie statunitensi, perchè è su questo parametro che si fondano – in buona parte – le aspettative delle imprese. Imprese che a loro volta navigano il clima di incertezza riducendo il ritmo delle assunzioni e ritardando gli investimenti. Parte della liquidità viene deviata in operazioni di buyback (165.63 miliardi di dollari a luglio, quasi mille miliardi da inizio anno) che sostengono i prezzi e gli indicatori. Il delicato equilibrio tra consumi, salute del mercato del lavoro e costo del denaro è verosimilmente il fattore che deciderà le sorti dell’azionario da qui ai prossimi mesi.
Illustrazione di Vicki Hamilton