Sfondo scuro Sfondo chiaro
Germania, calano ordinativi industriali a maggio
Estate calda e strategia fredda: l’OPEC+ rilancia la produzione di petrolio
Eurobond: se non ora, quando?

Estate calda e strategia fredda: l’OPEC+ rilancia la produzione di petrolio

La scelta a sorpresa dell’OPEC+ di aumentare la produzione di petrolio di 548 mila barili al giorno a partire da agosto è un ulteriore indizio del cambio di strategia da parte dei paesi produttori: aumentare l’offerta per difendere le proprie quote di mercato.

La caldissima estate dell’emisfero boreale spinge i consumi di energia e sta aumentando la domanda di petrolio. E per i paesi dell’OPEC+ tanto basta per decidere un nuovo, sorprendente, aumento della produzione di petrolio per il mese di agosto. Una scelta che, ancora una volta, mostra come sul fronte dell’oro nero si stia combattendo una battaglia di posizione (di mercato).

Ma andiamo con ordine. Nella riunione di sabato scorso, i membri dell’OPEC+ (il cartello dei principali produttori mondiali di petrolio) hanno deciso di aumentare la produzione giornaliera di greggio di 548 mila barili. Un incremento che ha colto di sorpresa i mercati e che si aggiunge all’aumento di 411 mila barili al giorno già attivo da maggio. Ma non è tutto. Secondo quanto riportato dall’agenzia Bloomberg, i delegati avrebbero già trovato un’intesa per un ulteriore incremento di 548 mila barili al giorno nel mese di settembre. In pratica, sommando i vari incrementi, l’OPEC+ arriverebbe ad azzerare il taglio di oltre due milioni di barili deciso nel 2023. Un’inversione di rotta che rappresenta a tutti gli effetti un cambiamento strategico dalle conseguenze significative.

Pubblicità

Come detto, la motivazione principale alla base della decisione presa a Ginevra tre giorni fa risiede nella necessità di adeguare la produzione all’effettivo aumento della domanda nell’emisfero boreale durante questa torrida estate. A questo si aggiunge una visione molto ottimistica da parte dell’OPEC+ riguardo la domanda di petrolio nel 2025. L’Agenzia Internazionale per l’Energia, ad esempio, stima che nel quarto trimestre dell’anno il surplus di offerta potrebbe raggiungere un valore pari all’1,5% del consumo globale. Goldman Sachs Group Inc. e JPMorgan Chase & Co. si sono spinte a prevedere un prezzo del petrolio in calo sotto i 60 dollari, a causa della domanda debole proveniente dalla Cina e di un’economia globale fiaccata dalle politiche protezionistiche statunitensi. Insomma, l’ottimismo dell’organizzazione ginevrina dei produttori, guidata dall’Arabia Saudita, sembra poggiare su basi piuttosto fragili. È dunque lecito pensare che le vere ragioni di questi massicci aumenti di produzione siano altre.

E qui arriva il punto cruciale. Secondo alcuni analisti, si tratterebbe di un favore che Riad starebbe facendo all’amministrazione statunitense per abbassare i prezzi dei carburanti (una delle promesse elettorali di Trump), ma questa ipotesi appare piuttosto debole, soprattutto alla luce degli effetti collaterali che tale strategia sta provocando proprio ai produttori americani.

La conclusione a cui si giunge è che siamo di fronte a una vera e propria battaglia – l’ennesima in questi tempi difficili – per il mantenimento del controllo delle quote di mercato da parte dell’OPEC+. Se la domanda è debole e la leva del prezzo non funziona, il ragionamento che sembra guidare queste manovre è: inondiamo il mercato di petrolio (una materia prima di cui disponiamo in abbondanza e il cui incremento produttivo ha per noi un costo marginale quasi nullo), manteniamo la nostra quota di mercato e mettiamo in difficoltà i produttori di altri paesi, i cui costi di produzione sono molto più alti.

Nel breve termine, gli effetti di questo nuovo fronte di tensione non dovrebbero avvertirsi in modo significativo sui prezzi del greggio. La domanda stagionale effettivamente esiste e il recente calo delle riserve statunitensi dovrebbe favorire l’assorbimento dell’aumento produttivo. Tuttavia, lo scenario potrebbe cambiare sensibilmente con l’avvicinarsi dell’ultimo trimestre del 2025. Non una buona notizia per il settore Energia.

Foto di Thomas H.

Resta aggiornato

Gli ultimi articoli di Ekonomia.it direttamente nella tua casella mail. Iscriviti qui sotto.
I dati trasmessi attraverso questo modulo sono trattati secondo la nostra privacy policy, in linea con la normativa vigente. Per nessun motivo verranno ceduti a terze parti o utilizzati per l'invio di messaggi di natura commerciale.
Post precedente

Germania, calano ordinativi industriali a maggio

Post successivo

Eurobond: se non ora, quando?

Pubblicità