Il debito pubblico mondiale ha raggiunto livelli mai visti: oltre il 100% del PIL globale. Ma quanto è sostenibile questa montagna di debito? E soprattutto: quanto siamo esposti a scenari estremi, come crisi fiscali improvvise o impennate nei costi di finanziamento?
Uno studio pubblicato sul portale VoxEU da un gruppo di economisti del FMI (Furceri, Giannone, Kisat, Lam e Li) prova a rispondere a queste domande con un nuovo strumento: il “debt-at-risk”, ovvero una misura del debito pubblico a rischio. Non si tratta di una semplice previsione del debito futuro, ma di una stima delle possibili code della distribuzione – cioè degli scenari peggiori, quelli che tendiamo a ignorare ma che possono fare più danni.
Il debt-at-risk è costruito con un modello statistico che simula migliaia di traiettorie possibili del rapporto debito/PIL per ciascun Paese. Per ogni simulazione, si tiene conto non solo delle tendenze economiche attuali, ma anche di variabili di rischio come l’andamento dei tassi di interesse, la crescita economica, le condizioni finanziarie globali e l’incertezza politica. L’indice rappresenta il quantile al 95% della distribuzione futura del debito, cioè il valore oltre il quale il debito potrebbe spingersi nel 5% degli scenari più gravi. È, in pratica, una misura del “peggio che può andare” – utile per testare la resilienza dei conti pubblici a shock negativi.
I risultati principali contenuti nello studio sono tutt’altro che rassicuranti. A livello globale, il debt-at-risk stima che il rapporto debito/PIL potrebbe arrivare al 117% entro il 2027 nello scenario peggiore, circa 20 punti in più rispetto alle proiezioni tradizionali.
Nei Paesi avanzati, il rischio è ancora più pronunciato: la coda superiore della distribuzione (lo scenario peggiore) arriva al 131% del PIL, sostenuta soprattutto da condizioni finanziarie più rigide e tassi più alti. Nei Paesi emergenti, invece, il rapporto è in media più basso (circa 96%), ma il rischio è crescente, alimentato da instabilità politica e istituzionale.
In sostanza, lo studio mostra che non è solo il livello del debito a contare, ma anche quanto sia vulnerabile a shock economici o finanziari. L’indice incorpora variabili come la volatilità dei mercati, l’incertezza politica e la probabilità di eventi estremi, offrendo una visione più completa dei rischi.
La grande novità del debt-at-risk è che permette ai governi e agli analisti di valutare non solo il percorso medio del debito, ma anche quanto potrebbe peggiorare la situazione in caso di stress. E, secondo gli autori, è anche un indicatore più efficace delle crisi fiscali rispetto a metriche tradizionali come il solo livello del debito o lo spread.
In un’epoca in cui il debito è diventato permanente e spesso necessario, capire quali Paesi sono davvero a rischio — e in che misura — è fondamentale per disegnare politiche più resilienti.