Il nuovo Human Development Report delle Nazioni Unite, pubblicato nel 2025, fotografa un mondo in un momento cruciale. L’Indice di Sviluppo Umano (HDI) – che misura benessere, istruzione e reddito – sta perdendo slancio. Dopo decenni di progresso costante, l’umanità ha subito un duro colpo durante la pandemia e le crisi successive. E la ripresa? Molto più debole di quanto sperato.
Secondo il rapporto, il valore medio globale dell’HDI nel 2024 ha raggiunto un massimo storico, ma con il tasso di crescita più basso degli ultimi 35 anni. Non solo: il divario tra i Paesi ad alto sviluppo e quelli a basso sviluppo sta di nuovo crescendo, annullando parte dei progressi fatti negli anni 2000 e 2010. In altre parole, i più vulnerabili vengono lasciati indietro.
Un dato eloquente: la differenza nell’HDI tra Paesi a sviluppo molto alto e basso ha superato i 0,41 punti, mentre negli anni pre-pandemia il divario si era ridotto stabilmente.
La classifica dello Human Development Index vede in prima posizione l’Islanda, seguita da Norvegia e Svizzera. Nelle prime 10 posizioni ci sono ben 8 paesi europei e nessun paese del continente americano. Gli Stati Uniti rientrano tra i primi 20 e l’Italia è 29°. Nelle ultime 10 posizioni ci sono 9 paesi africani.
Ma in questo contesto arriva un nuovo attore globale: l’intelligenza artificiale. Il rapporto lo dice chiaramente: non è l’IA a plasmare il nostro futuro, ma le scelte che facciamo con essa. È uno strumento potente, capace di aumentare la produttività, migliorare i servizi sanitari, personalizzare l’apprendimento. Ma può anche accentuare le disuguaglianze, sostituire posti di lavoro e riflettere – o amplificare – pregiudizi sociali già esistenti.
Un sondaggio globale condotto in 21 Paesi mostra che:
- 2 persone su 3, anche nei Paesi a basso HDI, prevedono di usare l’IA per lavoro, istruzione o salute entro un anno.
- Il 61% si aspetta che l’IA aumenti le proprie capacità lavorative, più che sostituirle.
- E chi già la utilizza tende ad avere più fiducia nel futuro e nella propria produttività.
Ma non tutti partono dallo stesso punto. L’accesso all’IA – e le competenze per usarla – restano privilegio di pochi. Le risposte di ChatGPT, ad esempio, riflettono valori culturali più simili ai Paesi ad altissimo HDI, e meno a quelli in fondo alla classifica.
Il report offre tre possibili strade da percorrere per rendere l’IA un’opportunità per tutti e non un vantaggio di pochi.
- Costruire un’economia della complementarietà, dove l’IA non sostituisce il lavoro umano, ma lo potenzia.
- Orientare l’innovazione con intenzione, puntando a un’IA utile, accessibile e socialmente desiderabile.
- Investire nelle capacità umane, con particolare attenzione all’educazione critica, alla salute e all’equità digitale.
In conclusione, il messaggio è forte: non dobbiamo subire il cambiamento tecnologico, ma guidarlo. L’intelligenza artificiale non è né il paradiso né l’apocalisse. È una pagina bianca, e tocca a noi decidere come scriverla.
Foto di Yuri