In un’economia globale che ambisce ad essere più efficiente e inclusiva, uno degli ostacoli più persistenti è la distorsione di genere: le disuguaglianze di opportunità e di ruoli tra donne e uomini non sono solo un tema etico, ma anche una leva decisiva per la crescita economica.
In uno studio pubblicato qualche settimana fa, la Banca Mondiale ha introdotto il Global Gender Distortions Index (GGDI), un indice pensato per quantificare le disuguaglianze strutturali tra uomini e donne lungo diversi assi: istruzione, partecipazione al lavoro, diritti legali, ruoli nella famiglia e condizioni demografiche.
La costruzione di questo indicatore parte dal separare gli effetti distorsivi sul fronte dell’offerta da quelli sul fronte della domanda. Da un lato analizza le discriminazioni nell’assunzione, le differenze nell’accesso al lavoro formale fra donne e uomini. Dall’altro prende in considerazione le barriere che scoraggiano la partecipazione femminile, come la mancanza di servizi di assistenza, vincoli sociali/familiari, limiti normativi. L’indice stima quanto la produttività (la produzione aggregata) di un’economia sarebbe maggiore se le distorsioni di genere fossero eliminate (o ridotte ad un livello “virtuoso”).
Un risultato chiave del Global Gender Distortions Index è che quasi nessun paese riesce ad ottenere un punteggio “perfetto”: anche nei paesi più avanzati, permangono distorsioni che penalizzano le donne in vari ambiti. Lo studio mostra che le distorsioni di genere spiegano una fetta rilevante delle differenze nei tassi di crescita: secondo le stime, ridurre queste distorsioni – portandole al livello osservato nei paesi migliori – potrebbe aumentare la crescita potenziale di molti paesi emergenti di 0,5-1,5 punti percentuali all’anno. Nei paesi con bassi punteggi GGDI, il gap di partecipazione femminile al mercato del lavoro può superare il 30 % rispetto agli uomini. E spesso non è solo una questione di assenza di opportunità lavorative: mancano le infrastrutture, la parità nei diritti patrimoniali e familiari, la flessibilità necessaria per conciliare lavoro e famiglia.
Una delle autrici di questa ricerca, Pinelopi K. Goldberg, sottolinea dalle colonne di Project Syndacate un concetto tanto semplice quanto sottovalutato: il capitale umano è la risorsa più preziosa che un paese possiede, e non ha senso sprecarne metà – cioè, il talento femminile – tagliando fuori dall’attività economica una parte della popolazione.
Goldberg sostiene che le politiche per l’uguaglianza di genere sono tra le più efficienti che un paese possa mettere in campo: con investimenti relativamente modesti si possono ottenere ritorni economici elevati. Il problema è che molti paesi sottovalutano il “rendimento” di questi interventi proprio perché guardano troppo alle spese immediate e troppo poco al potenziale di crescita aggiuntiva.
Ad esempio, se un governo implementasse misure che portassero il proprio punteggio GGDI vicino a quello dei paesi più virtuosi, potrebbe ottenere un aumento strutturale della crescita. E questo percorso è spesso più breve e meno costoso del lancio di grandi infrastrutture o di imprese “pianificate dall’alto”. Le riforme legali, il sostegno alla conciliazione lavoro-famiglia, la lotta alle discriminazioni nell’accesso al credito e alla proprietà sono leve concrete, spesso attuabili con investimenti contenuti.
Promuovere l’uguaglianza di genere non è solo un obiettivo di giustizia sociale, è una strategia concreta per far crescere meglio e più forte un’economia. In un mondo che sta cercando nuovi motori di sviluppo, forse uno dei principali motori non è da cercare fuori, ma dentro le proprie comunità: liberare il potenziale femminile.
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