La notizia è di questi giorni: mentre l’oro vola ai massimi storici, le riserve degli Stati Uniti raggiungono una valutazione superiore ai 1.000 miliardi di dollari, ma nei bilanci ufficiali restano ferme a soli 11 miliardi.
C’è un tesoro nascosto nei caveau americani — e ha appena superato la soglia dei 1.000 miliardi. Le riserve auree del Tesoro statunitense, le più grandi al mondo, hanno visto il loro valore impennarsi grazie a un rally senza precedenti: l’oro ha toccato i 3.840 dollari l’oncia, segnando un +45% da inizio anno. Eppure, come ricordava nei giorni scorsi Bloomberg, nei bilanci ufficiali quelle stesse riserve valgono appena 11 miliardi, perché ancora contabilizzate al prezzo fissato dal Congresso nel lontano 1973: 42 dollari l’oncia.
Un paradosso che racconta bene la distanza tra la realtà dei mercati e la rigidità della contabilità pubblica. Da un lato, gli investitori si rifugiano nell’oro di fronte a guerre commerciali, tensioni geopolitiche e timori di un nuovo shutdown negli Stati Uniti. Dall’altro, il governo continua a “nascondere” un patrimonio che, se rivalutato ai prezzi attuali, coprirebbe da solo quasi metà del gigantesco deficit federale.
A differenza di molti altri Paesi, gli Stati Uniti detengono direttamente le riserve auree, senza demandarne la gestione alla banca centrale. I numeri sono impressionanti: 261,5 milioni di once custodite tra Fort Knox, West Point, Denver e nei sotterranei della Federal Reserve a New York. Un tesoro che da decenni alimenta leggende e teorie del complotto, ma che resta ancora oggi la più grande riserva aurea al mondo.
L’idea di rivalutare ufficialmente l’oro riaffiora ciclicamente e non è del tutto campata in aria. Negli ultimi decenni, infatti, Paesi come Germania, Italia e Sudafrica hanno già rivalutato le loro riserve. A inizio anno una battuta del Segretario al Tesoro Scott Bessent aveva fatto sperare in una “ricapitalizzazione” da centinaia di miliardi, salvo poi essere smentita. Perché sì, sarebbe un sollievo per i conti pubblici, ma avrebbe anche conseguenze profonde sulla stabilità finanziaria, con effetti paragonabili a un mega quantitative easing.
Per ora, dunque, i lingotti restano chiusi nei caveau e sottovalutati nei bilanci statali. Ma con l’oro ai massimi storici, l’America continua a sedere letteralmente su un tesoro: metà leggenda, metà ancora di salvezza economica.
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