Inflazione USA, tra prezzi dei servizi e funflation

Gli ultimi dati dell’inflazione USA ci dicono che la discesa verso il target del 2% sta rallentando, e la “colpa” è dei servizi e di alcuni in particolare. Così spulciando le varie voci emerge anche un nuovo fenomeno: la funflation.

L’ultimo dato sull’inflazione statunitense ci dice che quella dei prezzi continua ad essere una battaglia di logoramento. Dopo aver toccato il picco nell’ottobre dello scorso anno, la frenata dell’inflazione statunitense ha subito un netto rallentamento a partire dal giugno scorso. Nel primo mese dell’estate passata l’indice dei prezzi al consumo ha fatto registrare una variazione annua del 3%, risalendo poi fino al 3.7% di settembre, ultimo dato disponibile. E l’aumento dei prezzi dell’energia spiega solo in parte il movimento. Se andiamo a guardare l’andamento dell’indice core il trend è simile.

Da dove arriva questa nuova spinta al rialzo dei prezzi? Se torniamo nuovamente ai dati dell’indice core possiamo individuare una possibile risposta. La componente relativa ai servizi non correlati all’energia – guarda caso uno dei numeri monitorati dalla FED – è salita nel mese di settembre dello 0.6% su base mensile, in accelerazione rispetto al +0.4% di agosto.

In un recente studio della Federal Reserve di Boston, Christopher D. Cotton e Vaishali Garga hanno vivisezionato l’andamento dei prezzi di quell’indice che viene denominato “supercore” price index e che esclude dal calcolo i prezzi collegati all’energia, all’alimentare ed alle spese di abitazione (bollette, mutui, etc…). Dall’analisi emerge che la spinta al recente aumento dei prezzi arriva soprattutto da quelle componenti che vengono etichettate sotto la voce “low-skills services”. Vale a dire tutti i servizi associati alla quotidianità di un lavoratore con bassa specializzazione. Cotton e Garga notano come l’aumento dei prezzi di questa particolare componente sia sincronizzata all’aumento dei salari dei lavoratori low skills. La riprova arriva dal dato sui cosiddetti “high-skills services”. In questo caso i prezzi sono sostanzialmente stabili e la crescita dei salari molto moderata. Gi autori osservano però che le cose cominciano a cambiare anche per i salari dei lavoratori specializzati, e questo potrebbe significare ulteriore benzina per l’inflazione nei prossimi mesi.

Ma se appare chiaro che è tra i servizi che occorre guardare per trovare le braci ancora incandescenti della fiammata inflattiva post pandemia, un altro dato sembra darci ulteriori conferme. Come riporta il Wall Street Journal in un articolo di qualche giorno fa, ad aumentare in maniera consistente nell’ultimo periodo sono stati i biglietti per eventi musicali, parchi divertimento, eventi sportivi. Un fenomeno che qualcuno si è affrettato a rinominare Funflation, una spinta inflazionistica derivante dall’aumento del costo di servizi per il tempo libero. Una rilevazione Pollstar ci dice che i prezzi medi dei biglietti nel nord America sono saliti dai circa 60 dollari del novembre del 2022 ai 120 dollari del maggio 2023. Un raddoppio che un altro sondaggio (condotto proprio dal WSJ) conferma: il 60% degli intervistati ammette di aver tagliato le spese in concerti ed altri eventi per colpa della funflation. Un 20% si dichiara disposto a ricorrere al credito al consumo per poter continuare ad assistere ai concerti dei propri cantanti preferiti.

L’inflazione è un fenomeno complesso e per quanto nel lungo termine possa essere ancora solo monetario, diamo fiducia a Friedman, questi piccoli esempi che abbiamo riportato ci ricordano come tornare su livelli “bassi” senza un forte scossone alla domanda o ai salari richieda tempi molto lunghi.

Foto di Orna

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