Intelligenza artificiale, primi numeri sull’impatto nel mondo del lavoro

Sull’intelligenza artificiale si sta sviluppando un forte dibattito che coinvolge anche il mondo del lavoro. Un primo studio mostra come la quasi totalità delle posizioni lavorative avrà a che fare con qualche forma di AI.

Nelle ultime settimane si parla molto di intelligenza artificiale. La materia non è nuova, ma l’evoluzione di applicazioni basate sui GPTs ha sicuramente subito un’accelerazione negli ultimi tempi. In tanti conoscono software come chatGPT e qualcuno sta già sperimentando l’integrazione di queste tecnologie nei motori di ricerca di Microsoft, Baidu e Google.

Hanno fatto scalpore, inoltre, le foto create da con l’AI dell’arresto dell’ex presidente americano Donald Trump, a prima vista molto realistiche, rilanciando il dibattito sulla diffusione di fake news attraverso i social.

Elon Musk, il proprietario di Twitter, ha annunciato qualche giorno fa che il feed della sezione “Per te” dell’applicazione blu sarà a breve alimentato solo da contenuti provenienti da profili verificati. E’ l’unico modo, sostiene Musk, per proteggersi dal quasi certo diluvio di contenuti prodotti dall’intelligenza artificiale che invaderanno i social nei prossimi mesi. E’ inoltre notizia di ieri la pubblicazione di un appello da parte dell’organizzazione no-profit Future of Life Institute per chiedere di sospendere per qualche mese lo sviluppo dell’ultima generazione di AI (la GPT-4) e di confrontarsi sulle conseguenze di tali tecnologie.

Ma il tema del progressivo utilizzo dell’intelligenza artificiale sta interessando – e preoccupando – anche milioni di lavoratori. E se prendiamo per buona – e ci sono discrete probabilità che lo sia – che l’avvento di queste nuove tecnologie eliminerà mansioni ma ne creerà anche di nuove, allora è verosimile che ci si stia avvicinando ad un altro grande punto di svolta per il mondo del lavoro. I legislatori, le aziende ed i lavoratori stessi ne sono coscenti? Si stanno preparando a questo enorme sconvolgimento?

Difficile dirlo. Negli USA l’argomento è d’attualità e lo dimostrano i tanti studi che le università, gli istituti di ricerca e le stesse aziende che sviluppano questa tecnologia stanno pubblicando. L’Università della Pennsylvania e OpenAI (l’azienda che ha creato chatGPT) ne hanno pubblicato uno molto interessante un paio di giorni fa. Il working paper prova a stilare una prima, provvisoria, lista di quelle che saranno le posizioni lavorative con il maggior rischio di essere sostituite da software con tecnologia LLM. Il primo dato che emerge dalla ricerca è che l’intelligenza artificiale riguarda un po’ tutto lo spettro del mercato del lavoro. I ricercatori calcolano che circa l’80% della forza lavoro degli USA vedrà l’intelligenza artificiale incidere su almeno il 10% delle mansioni svolte. Una percentuale che per un 16% della forza lavoro salirà oltre il 50%, Nel complesso, suggerisce il paper, un 15% di tutte le mansioni svolte attualmente dai lavoratori statunitensi potrà essere sostituito – con notevole risparmio di tempo – da applicazioni LLM.

Allo stato attuale, ricorda lo studio, software basati sull’intelligenza artificiale generativa sono in grado di svolgere, a livelli eccellenti, operazioni di traduzione, classificazione, creazione di testi e di codici informatici. Facile quindi dire quali siano, ad oggi, le posizioni lavorative più a rischio di essere sostituite da un software: ragionieri (i più a rischio secondo lo studio), interpreti, matematici, scrittori.

La ricerca non ha di certo l’ambizione di predire come evolverà il mercato del lavoro nei prossimi anni, ma mette sul tavolo alcune carte. E queste carte dovrebbero ricevere molta attenzione da parte dei governi in primis, ma anche di imprese e lavoratori. Serve un enorme sforzo in termini di formazione, di ricollocamento e di riorganizzazione del lavoro. A poco serviranno battaglie di retroguardia.

Illustrazione di Seanbatty

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