Lavorare meno: lavorare tutti no, ma meglio probabilmente si

Uno studio sulle riforme dell’orario del lavoro in Europa tra la fine dello scorso secolo ed i primi anni 2000 suggerisce che lavorare meno non comporta benefici in termini di maggiore occupazione ma migliora la produttività.

Chi ha qualche capello grigio probabilmente ricorda perfettamente uno degli slogan più gettonati del 1968: “lavorare meno, lavorare tutti”. Di anni dal 68 ne sono passati più di 50 ed in Europa, da allora, i problemi del mercato del lavoro sono sempre rimasti uno dei grandi crucci del legislatore. Agli inizio degli anni 90 dello scorso secolo e nei primi anni del 2000 , alcuni paesi hanno provato a riprendere in mano quello slogan cercando di trasformarlo in qualcosa di concreto. Il risultato è stato un tentativo di ridurre l’orario lavorativo settimanale, con la neanche tanto nascosta ambizione che ad una riduzione delle ore lavorate potesse corrispondere un aumento dei lavoratori.

Il dibattito sull’argomento si è riaperto con l’avvento della pandemia e la “scoperta” – si fa per dire – di nuove forme di svolgimento delle proprie mansioni lavorative. Come abbiamo già visto nel nostro blog, la soluzione alla quale molte aziende sembrano orientate è quella di una modalità di lavoro ibrida, con una quota di giorni in presenza ed una di lavoro da casa. In alcuni casi si sta provando anche ad accorciare la settimana lavorativa ed i primi studi al proposito (in Irlanda ed in Gran Bretagna) sembrano indicare che la strada, oltre ad essere percorribile, porta anche dei vantaggi. Ma la domanda rimane: lavorare meno fa lavorare tutti? O per essere più “tecnici”: la riduzione dell’orario lavorativo produce un aumento dell’occupazione?

Una prima risposta sembra arrivarci da uno studio condotto da tre economisti (Batut, Garnero, Tondini) e pubblicato su Industrial Relations: A Journal of Economy and Society. Riassumendo all’estremo il risultato dello studio potremmo dire che ridurre l’orario di lavoro non fa aumentare l’occupazione, perchè l’ammontare di lavoro da svolgere non è qualcosa di fisso ed immutabile, ma potrebbe far lavorare meglio.

Batut ed i suoi colleghi hanno testato il rapporto tra riduzione dell’orario del lavoro ed occupazione andando a verificare gli effetti di quelle riforme che paesi come Italia, Portogallo e Francia hanno messo in atto tra la fine dello scorso secolo e l’inizio del 2000. Il risultato è, come anticipato, che la riduzione delle ore settimanali di lavoro non ha indotto le imprese ad un aumento della forza lavoro ma più economicamente (appunto) ad una redistribuzione del lavoro svolto sulla forza lavoro esistente. Di contro, lo studio sembra evidenziare che nei settori più coinvolti nelle riforme la produttività dei lavoratori ne ha beneficiato, segnale questo che può avere tra le sue causa anche un maggior benessere da parte dei lavoratori.

Foto di StartupStockPhotos

Gli ultimi articoli di Ekonomia.it direttamente nella tua casella mail. Iscriviti qui sotto.
I dati trasmessi attraverso questo modulo sono trattati secondo la nostra privacy policy, in linea con la normativa vigente. Per nessun motivo verranno ceduti a terze parti o utilizzati per l'invio di messaggi di natura commerciale.