Sondaggio BEI, settore privato UE resiliente ma investimenti a rischio

L’ultimo sondaggio condotto dalla BEI descrive un settore privato dell’Unione Europea in grado di riprendersi in fretta dalla crisi scatenata dalla pandemia, ma con piani di investimento minacciati da inflazione e tassi di interesse.

Inutile girarci intorno, un filotto di eventi negativi come quello che dal 2019 scuote l’economia mondiale raramente si è visto nella storia moderna, e la sfida per la sopravvivenza delle imprese è stata, ed è tutt’ora, di quelle catalogabili come estreme.

Il recente sondaggio pubblicato dalla Banca Europea degli Investimenti (BEI) prova a fotografare la situazione del settore privato dell’Unione Europea a metà del guado, vale a dire passata la fase acuta della crisi pandemica e nel bel mezzo di una tempesta composta da tensioni geopolitiche, inflazione elevata e tassi di interesse in risalita.

I risultati li raccontano Julie Delanote, Debora Revoltella e Tessa Bending dalle pagine del CEPR. Il primo punto fermo è la grande resilienza dimostrata dalle imprese europee nell’affrontare lo shock causato dalla pandemia. Il sondaggio, condotto l’estate scorsa su 12 mila imprese dell’Unione, ci dice che l’84% del campione si attende di tornare entro fine 2022 a livelli di vendite pre-pandemia. Solo il 16% ammette che non riuscirà a raggiungere questo obiettivo entro la fine di quest’anno. Nel complesso, comunque, solo un 4% del campione non ha ancora visto tornare profittevole il proprio business. In altri termini il recupero dalla crisi scatenata dal Covid-19 è stato senza dubbio estremamente rapido e consistente.

Ma come ben sappiamo i guai per il settore privato dell’Unione Europea – come per il resto del mondo – non sono finiti qui, ed il sondaggio della BEI ha provato a verificare come e con quale intensità i nuovi shock che hanno scosso l’economia globale stanno impattando sulle strategie delle imprese europee.

Qui i dati sono meno ottimistici e ad essere minacciata è soprattutto la capacità di investire delle imprese. L’82% degli intervistati cita il rialzo dei costi dell’energia come un ostacolo agli investimenti aziendali; il 59% lo considera il maggiore degli ostacoli. Percentuali che superano di gran lunga quelle ottenute da un altro problema, la mancanza di forza lavoro specializzata. Ma a rendere complicato attuare i piani di investimento non sono solo i maggiori costi operativi, ma anche la maggior difficoltà a reperire finanziamenti. L’aumento dei tassi ed una maggior prudenza nel concedere credito da parte degli istituti bancari si sta facendo sentire. Così il numero di imprese con limitazioni finanziarie è tornato a crescere dopo molti anni, in particolare nell’Est Europa. E le aspettative rimangono orientate ad un ulteriore peggioramento della condizione finanziaria.

Meno soldi da investire significano meno innovazione. Un problema non da poco per il settore privato europeo, anche osservando come va il mondo (ad esempio sul fronte dei microchip). Secondo i dati BEI, entro la fine del 2022, le imprese europee che hanno investimenti in essere sul fronte dell’innovazione tecnologica saranno il 34% del totale. Nel 2020 erano il 41.5%; negli USA la percentuale nel 2022 toccherà il 52.7% (1,7 punti percentuali in più rispetto al 2020). Un gap preoccupante. La situazione risulta meno drammatica sul fronte della digitalizzazione con investimenti in innovazione sopra al 60%.

Altro aspetto interessante toccato dal sondaggio BEI è relativo alla transizione energetica. Sappiamo come l’Europa sia sotto questo punto di vista un leader mondiale. Eppure la congiuntura sfavorevole rischia di rallentare il circolo virtuoso che sta portando il settore privato europeo ad essere maggiormente sostenibile. I dati rimangono positivi, con il 51% degli intervistati che ha in programma investimenti nella transizione energetica entro i prossimi tre anni. Se i costi dell’energia fossile stanno convincendo ad accelerare la transizione alle aziende con investimenti green già in essere, gli stessi costi rischiano di ritardare l’avvio della transizione nelle imprese ancora al palo e qui, suggeriscono le autrici del post, occorre un intervento statale per sostenere la trasformazione.

Foto di David Mark

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