La politica fiscale di Londra e la realtà dei mercati

Le scelte di politica fiscale del governo Truss stanno mettendo Londra in difficoltà sui mercati finanziari, e ci ricordano che in un momento delicato come questo autorità fiscale e monetaria devono cercare la massima collaborazione.

Dalle parti di Londra sono ore di grande agitazione. Nel giro di qualche giorno il centro dell’attenzione si è spostato dalle storiche mura del castello di Windsor all’aula della camera nel palazzo di Westminster.

Andiamo per ordine. A Londra, per l’appunto, venerdì scorso, il nuovo cancelliere dello scacchiere (l’equivalente del nostro ministro delle finanze) ha presentato alla camera il suo piano di politica fiscale per dare nuovo impulso alla crescita economica del paese. La ricetta elaborata da Kwasi Kwarteng prevede un sostanzioso taglio delle tasse – il più corposo dal 1972 ad oggi – per i redditi più alti, accompagnato da un contributo a imprese e famiglie sul fronte del caro energia. In termini numerici si tratta di un piano da 161 miliardi di sterline che, secondo i sostenitori, dovrebbe rianimare consumi ed investimenti. Per gli scettici, invece, si tratta di una manovra che mette a rischio la stabilità dei conti pubblici inglesi, aumentando il debito e fornendo ulteriore carburante all’inflazione. A favore si sono schierati istituti di un certo peso come la British Chambers of Commerce e l’Institute for Economic Affairs, entrambi sottolineando la necessità in un momento come questo di focalizzarsi sulla crescita e sulla spesa pubblica (in pieno stile keynesiano, insomma). Tra le voci critiche spicca quella del Fondo Monetario Internazionale, che giudica la proposta eccessiva e con un alto rischio di ampliare il divario economico tra i cittadini del regno. Serve una registrata, in altre parole, il messaggio spedito dal Fondo a Londra. Nelle ultime ore ha preso posizione anche la Casa Bianca, con il segretario al Commercio – Gina Raimondo – che ricorda come tagliare tasse ed aumentare la spesa non porta a raffreddare l’inflazione e non assicura crescita nel lungo termine.

I mercati finanziaria ci hanno messo poco per giungere ad una conclusione e così i titoli di stato inglesi e la sterlina hanno vissuto giornate di pesanti ribassi. Gli investitori, rimasti alquanto sconcertati dalle scelte del governo Truss e da qualche tempo sospettosi nei confronti dell’economia inglese, hanno scommesso su una presa di posizione da parte della banca centrale inglese, attendendosi ulteriori rialzi dei tassi per mantenere sotto controllo le aspettative di inflazione e per dare un po’ di sollievo alla sterlina; quest’ultima in caduta libera rispetto al dollaro, ma anche rispetto al più malandato euro. Secondo i calcoli di Nomura, il mercato dei derivati sta dando quasi una possibilità su due all’ipotesi che la sterlina tocchi la parità con il dollaro prima della fine dell’anno.

Per il momento la BoE ha risposto con una mossa che a molti è parsa un chinare il capo di fronte alle scelte del governo. Dalla prossima asta di titoli di stato, infatti, l’istituto centrale si impegnerà ad acquistare uno stock di obbligazioni a lungo termine.

La vicenda, che sicuramente nelle prossime settimane si arricchirà di interessanti sviluppi (non escluso nemmeno un clamoroso passo indietro di Kwarteng), è per certi versi emblematica del complicatissimo momento storico che l’economia si trova ad affrontare, in particolare quella europea, condizionata pesantemente dalla questione energia e reduce da un biennio pandemico che non ha certo giovato alla salute delle casse statali. Mai come in questo momento il mantenimento dell’equilibrio tra politica fiscale espansiva, tenuta dei conti pubblici e controllo dell’inflazione da parte della politica monetaria si gioca su sottilissimi compromessi e sulla necessità di una strettissima coordinazione tra le autorità a cui spetta il compito di agire. L’era dei tassi bassi e del debito a buon mercato è solo un ricordo.

Le fughe in avanti, come quella messa in atto dal governo Truss, si pagano a caro prezzo sui mercati (anche e soprattutto in termini di interessi da pagare, se si decide di farle a debito); al tempo stesso una politica fiscale espansiva è necessaria per non far capitolare l’economia di fronte alle sfide che la congiuntura ci mette di fronte, ma deve tener conto dell’andamento dei prezzi, evitando di alimentarlo e concentrandosi più sull’aumento della produttività del sistema (problema non solo inglese) che sul sostegno dei consumi. Chissà se dalle parti di Roma qualcuno starà prendendo appunti.

Foto di Sarah Larkin

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