Crisi energetica, l’Euro debole segnala la complessità della situazione

All’Euro non basta il maxi rialzo della BCE per recuperare terreno, la crisi energetica conta più dei tassi nelle valutazioni degli investitori.

La scorsa settimana la BCE ha di nuovo messo mano ai tassi di interesse, annunciando un maxi rialzo da 75 punti base. Ma la vera notizia non sta tanto nella mossa della banca centrale, quanto nella reazione, o forse sarebbe meglio dire nella pessima reazione, dell’Euro alla notizia. In genere un rialzo dei tassi di interesse ha un effetto benefico sulla valuta domestica, ma giovedì scorso è successo qualcosa che ha allarmato gli analisti. Il cambio Euro/Dollaro, appena dopo l’annuncio del board è sceso vistosamente, recuperando qualcosina solo nel finale di seduta, ma rimanendo sotto la parità.

Qual è il significato di questo “strano” comportamento? Appare chiaro che l’appeal della moneta europea rimane estremamente basso e la motivazione è facilmente rintracciabile: la crisi energetica. Le difficoltà nel trovare un accordo sul tetto al prezzo del gas è solo l’ultima prova di quanto l’argomento sia terribilmente delicato; e lo è sia sotto il punto di vista macroeconomico, sia sotto il punto di vista finanziario.

Secondo le ultime stime di Goldman Sachs la bolletta energetica delle famiglie europee è destinata a salire di altri 2 trilioni di euro entro la prima parte del 2023, quando si ipotizza che i prezzi della componente energia possano toccare il loro picco. Nel complesso il costo dell’energia arriverà a valere il 15% del PIL dell’Eurozona. Numeri spaventosi che fanno dire agli analisti di GS che la situazione è molto peggiore della crisi energetica degli anni 70 dello scorso secolo. L’introduzione del price cap, sempre secondo i dati di questa analisi, varrebbe un risparmio di circa 650 milioni di euro, con una riduzione dell’utilizzo di gas stimata attorno al 10/15%. L’introduzione del tetto al prezzo del gas russo avrà come quasi certa conseguenza l’interruzione definitiva delle fornitura da parte di Mosca, evento che metterà in seria difficoltà i paesi europei nella costituzione delle scorte durante la prossima estate. Una situazione così complessa e delicata che da Citigroup arriva un altro avvertimento: per rivedere i prezzi del 2021 occorreranno tra i 3 e i 5 anni. In un quadro di questo genere, non solo i venti di una recessione a breve soffiano più forti, ma la stessa capacità della futura ripresa dell’economia europea sembra essere seriamente minacciata.

Intervenire sui prezzi del gas, però, è necessario anche sotto il punto di vista della stabilità del sistema finanziario. Da un lato le bollette rischiano di prosciugare la liquidità delle aziende, dall’altro sta emergendo in tutta la sua gravità il problema della sostenibilità del mercato dei derivati. Secondo una stima di Equinor il valore dei margini (le somme che vengono depositate a fronte di operazioni di trading sui derivati) si aggira attorno agli 1,5 trilioni di dollari, ed ogni balzo del prezzo del gas aumenta questa cifra e costringe gli operatori ad attivare nuove linee di credito (a costi più alti, viste le decisioni della BCE) con il rischio che, ad un certo punto, la liquidità per affrontare questi impegni venga meno.

In tutto questo dedalo di problemi la BCE appare evidentemente in difficoltà. Non solo. L’impatto della politica monetaria su quello che è a tutti gli effetti uno shock dell’offerta, rimane limitato e lo sforzo della BCE appare sostanzialmente concentrato sull’evitare che l’Euro scivoli ulteriormente verso il basso. Secondo Steven Barrow, di FX strategist di Standard, l’andamento dell’Euro sembra quasi dire che la BCE è costretta a questi maxi rialzi per mantenere gli attuali livelli di cambio. In altri termini il grosso del lavoro tocca ai governi, ed il tempo a disposizione non è molto.

Foto di Steve Buissinne

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