L’economia britannica va sempre più piano

I numeri dicono che l’economia britannica va sempre più piano e la congiuntura sembra non spiegare del tutto il fenomeno. A pesare è soprattutto una lenta e costante perdita di produttività.

Cosa sta succedendo in Gran Bretagna? I più attenti all’attualità potrebbero rispondere citando le celebrazioni per i 70 anni di regno di Elisabetta II, oppure gli sviluppi sulle imbarazzanti vicende del cosiddetto “partygate” che vede coinvolto il premier Boris Johnson. Tutti fatti di rilievo, certo, ma dal punto di vista economico la notizia è che l’economia britannica va sempre più piano e la faccenda pare più tendenziale che congiunturale.

Il problema non è di poco conto, tanto è vero che l’Economist gli ha dedicato la copertina dell’ultima edizione dove spicca una quanto mai esplicita tartaruga “vestita” dell’Union Jack. I dati riportati dal settimanale londinese parlano da soli: tra il 1997 ed il 2007 la crescita della produttività inglese era seconda solo a quella degli USA; tra il 2009 ed il 2019 il dato è andato via via calando, facendo scivolare la Gran Bretagna al penultimo posto tra i paesi del G7 (indovinate chi occupa l’ultimo? Indovinato). Certo, c’è stata la crisi finanziaria e dal 2020 l’economia inglese, come il resto del mondo, combatte contro la pandemia e le sue conseguenze. Tuttavia i dati suggeriscono che il problema britannico è più profondo. Sempre citando alcuni numeri riportati dall’Economist non passa inosservato come il reddito pro capite, a parità di potere d’acquisto, ad inizio 2022 sia del 25% più basso rispetto a quello statunitense. E ancora, nell’ultimo trimestre del 2021 le esportazioni inglesi hanno registrato un calo del 16% rispetto alla fine del 2019, ma nello stesso periodo le esportazioni globali sono cresciute del 6%. C’è qualcosa di strutturale, quindi, che non va e che rischia di pesare a lungo sulla crescita del Regno Unito. Ma cosa?

Il sondaggio CfM di maggio prova a darci qualche indicazione in più. Detto che la quasi totalità degli intervistati ritiene che l’economia inglese crescerà lentemente nei prossimi anni, il 56% del campione attribuisce questo fenomeno a fattori strutturali e solo il 20% dà la colpa ai malanni “stagionali” dell’economia globale. E cosa c’è nella struttura economica del paese che frena la crescita? Per la maggioranza di quel 56% di analisti le cause del declino sono da ricercare nel traumatico svolgersi della Brexit e nella drastica riduzione degli investimenti. A queste due cause qualcuno aggiunge i danni al capitale umano che starebbe creando un sistema educativo poco performante. Per l’Economist una fetta di responsabilità va attribuita alla politica, più propensa al tornaconto elettorale che alla crescita futura del paese, con manovre redistributive destinate alla alla parte di popolazione più improduttiva ma elettoralmente più significativa.

Per provare a cambiare rotta, rilevano gli intervistati del sondaggio CfM, serve una forte politica di investimento pubblico (infrastrutture, educazione e transizione energetica), un miglioramento dei rapporti con l’Unione Europea ed in generale una maggiore apertura dell’economia verso l’estero. Un governo traballante e prossimo alla scadenza elettorale non sembra l’ideale per iniziare a metter mano alla delicata faccenda, per l’Economist servirebbe un nuovo periodo tacheriano, ma esiste nel panorama politico britannico una figura di questa levatura? Una domanda che molti si fanno anche ad altre latitudini.

Foto di Ch AFleks

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