La strategia dell’OPEC+ irrita gli USA e può far salire ancora i prezzi del petrolio

Il costo dell’energia è uno dei fattori alla base dell’attuale forte aumento dei prezzi al consumo. La strategia dell’OPEC+ di mantenere la politica di moderata espansione della produzione di greggio scatena le proteste degli USA. In questo scenario i prezzi potrebbero salire ancora.

L’organizzazione dei paesi produttori di petrolio, l’OPEC+, ha deciso di mantenere l’attuale piano di aumento della produzione giornaliera. Questo significa che anche nel mese di dicembre verranno immessi sul mercato 400 mila barili di greggio in più al giorno. Secondo l’organizzazione ginevrina la domanda mondiale di petrolio è ancora alle prese con la pandemia, e la diffusione della variante Delta suggerisce di mantenere una certa cautela nell’aumentare l’offerta di greggio sul mercato. La Russia, dal canto suo, fa notare come nel mese di ottobre la domanda europea di barili sia decisamente rallentata, motivo per cui risulta più che valida la scelta di non aumentare ulteriormente la produzione giornaliera.

Ma questa visione delle cose sta suscitando malumori tra i principali paesi importatori, tra cui USA, Giappone e India. La Casa Bianca, senza giri di parole, ha accusato l’OPEC+ di mettere a rischio la ripresa economica mondiale mantenendo una produzione troppo bassa rispetto alle necessità. Cosa che sta costringendo gli USA, già da qualche mese, ad utilizzare le riserve strategiche per compensare la mancanza di greggio. Dai 620 milioni di barili stoccati nei depositi per le emergenze ad inizio settembre, si è passati a 612 milioni di barili a inizio novembre (fonte Bloomberg) e molti analisti stimano che la riduzione possa continuare anche nelle prossime settimane.

L’OPEC+ per il momento tira dritto. Commentando la posizione statunitense, il principe saudita Abdulaziz bin Salman ha ricordato che da agosto a fine ottobre i prezzi del petrolio sono saliti del 25%, quelli del gas naturale in Europa dell’80%, chiosando che la principale causa della crisi energetica non va cercata nel petrolio ma altrove. Ieri, in una dichiarazione a margine dell’Africa Oil Week, il ministro all’energia degli Emirati Arabi Uniti ha ribadito il concetto: senza l’attuale strategia OPEC+ di aumento della produzione i prezzi del greggio sarebbero di due o tre volte più alti.

Di questo tensione tra USA e OPEC+, su cui pesa di certo anche un mutato rapporto tra l’amministrazione Biden e l’Arabia Saudita, rischia di farne le spese, ancora una volta, il consumatore finale, attraverso quel fenomeno inflattivo che pare sempre meno transitorio.

Secondo Goldman Sachs sul mercato la domanda sorpassa ampiamente l’offerta di greggio ed il trend rialzista del prezzo è destinato a continuare. Anche la “minaccia” statunitense di aumentare l’uso delle riserve strategiche potrebbe rivelarsi di corto respiro. Un calo troppo consistente del prezzo del barile, effetto dell’immissione sul mercato di una sostanziosa quantità di petrolio stoccato, costringerebbe i produttori di shale oil a rallentare le loro attività estrattive per l’assottigliarsi dei margini di guadagno.

Gli analisti di UBS confermano la visione proposta da Goldman e stimano che il prezzo del barile possa toccare e superare i 90 dollari nei prossimi mesi.

Foto di drpepperscott230

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