Oltre la pandemia, i conti pubblici non tornano

Se la pandemia ha dato uno scossone ai conti pubblici, le sue conseguenze potrebbero essere nulla di fronte alle sfide di lungo periodo che attendono i governi mondiali.

Per affrontare la pandemia i governi mondiali hanno dovuto ricorrere in maniera massiccia al debito. L’OCSE ci ricorda che nel 2022 il debito pubblico globale si attesterà su livelli superiori del 20-25% rispetto alla traiettoria originale. La situazione, già così, potrebbe essere definita delicata, ma l’istituto parigino prova ad allungare lo sguardo e nel suo “long-run scenario” le vicende pandemiche si fanno piccole rispetto ad altri grandi temi.

Spiega Yvan Guillemette, economista dell’OCSE, che da qui al 2060 i governi dovranno fare i conti, in senso stretto, con alcuni trend di lungo periodo, quali l’invecchiamento della popolazione, il rallentamento dei ritmi di crescita delle attuali economie emergenti, il calo complessivo della produttività. Ognuno di questi fattori avrà un impatto significativo sui conti pubblici, e sarà ben più significativo di quanto speso per contrastare la pandemia di covid-19.

Qualche numero darà meglio l’idea. L’aumento del debito pubblico, conseguenza dalla politica fiscale di emergenza di questi mesi, peserà nel lungo periodo per circa mezzo punto percentuale di PIL. Le spese da sostenere per il mantenimento dei livelli di welfare di fronte al progressivo invecchiamento della popolazione avranno un impatto da 2.2 punti percentuali di PIL, quelle del sistema pensionistico del 2.8%.

Se i governi decidessere di non fare riforme strutturali e di aumentare solamente le tasse, la pressione fiscale dovrebbe aumentare – stando ai calcoli OCSE – per una cifra in media pari all’8% del PIL, con alcuni paesi obbligati a spingersi anche sopra il 10%.

Guillemette ricorda che nello scenario non si tiene conto della sfida al cambiamento climatico e che si prospetta una crescita media dei paesi appartenenti all’organizzazione dimezzata da qui al 2060 (dal 3% all’1,5% annuo).

Seguono le solite raccomandazioni: riforma del sistema pensionistico con relativo aumento dell’età pensionabile, interventi strutturali in grado di incentivare l’occupazione e migliorare i livelli di produttività. Ma sono davvero la soluzione? Di fronte ad una nave che imbarca acqua da tutte le parti, ci si salva dando due secchi invece di uno ad ogni componente dell’equipaggio? L’impressione, ancora una volta, è che il carrozzone non regga più la velocità e a poco possano servire operazioni di restauro.

Gli ultimi articoli di Ekonomia.it direttamente nella tua casella mail. Iscriviti qui sotto.
I dati trasmessi attraverso questo modulo sono trattati secondo la nostra privacy policy, in linea con la normativa vigente. Per nessun motivo verranno ceduti a terze parti o utilizzati per l'invio di messaggi di natura commerciale.