Politica fiscale e monetaria alle prese con il cambio di fase

Dopo mesi di battaglia è forse giunto il momento di iniziare a ridurre i mezzi impiegati. Potremmo riassumere in questa maniera quanto sta per accadere sul fronte della politica monetaria, ma anche sul fronte della politica fiscale.

Andiamo con ordine. Passata la fase più acuta dell’emergenza economica scatenata dalla pandemia, le banche centrali, da qualche mese, hanno cominciato a ragionare su tempi e modi di rientro dai corposi piani di quantitative easing utilizzati dalla primavera dell’anno scorso, un impegno che, solo contando USA, Eurozona e Giappone, ha raggiunto un valore di circa 9 trilioni di dollari. Ora il dibattito comincia a dare i suoi frutti.

Nel Beige Book della FED diffuso a metà della settimana scorsa si legge che, pur ammettendo che la ripresa statunitense non è più così brillante come qualche mese fa, la maggioranza del board considera plausibile l’inizio del rientro dal QE – il cosiddetto tapering – entro la fine del 2021. In un’intervista al Wall Street Journal il governatore della Fed di Atlanta, Raphael Bostic, è stato ancora più esplicito: la decisione non sarà presa a settembre, dice, ma la FED è ancora nella possibilità di attivare il tapering entro dicembre (la data che gira è quella della riunione di novembre).

Tapering non è certo la parola che utilizzerebbe la governatrice della banca centrale europea per spiegare la manovra annunciata giovedì scorso da Francoforte. Chiamiamolo perciò rimodulazione del PEPP – il programma di acquisto titoli studiato per la crisi pandemica – ma al di la delle parole è un chiaro segnale di inizio di rientro dalla fase ultra espansiva.

Andrew Bailey, governatore della Banca d’Inghilterra, ha recentemente ammesso che il board dell’istituto londinese è diviso tra chi vede già presenti le condizioni minime per avviare il tapering e chi rimane più prudente. Aggiungendo poi di aderire alla prima corrente di pensiero. Ad agosto non si è deciso nulla, ma le mosse di BCE e FED daranno anche alla BoE il coraggio necessario per iniziare il processo di “normalizzazione”.

Dalla Gran Bretagna arrivano anche i primi segnali di movimento da parte della politica fiscale. Si, perchè anche sul fronte dei governi sta per arrivare il momento nel quale decidere se la fase di emergenza economica può ritenersi superata o meno. E se la risposta sarà affermativa occorrerà iniziare a pensare a come gestire la mole di debito accumulato in questo anno e mezzo. Il governo guidato da Boris Johnson ha dato le sue prime risposte: via il programma di sostegno ai salari e via al primo rialzo delle tasse. Eh si, occorre prepararsi. Con l’obiettivo di rimpolpare le casse del sistema sanitario nazionale, al semicollasso dopo 18 mesi di pandemia, Johnson ha annunciato un piano da 36 miliardi di sterline in tre anni. Un incremento di 1,25 punti percentuali della tassazione dei dividendi ed un aumento del contributo sanitario a partire dal 2022. Una decisione arrivata pochi giorni dopo l’annuncio da parte di Rishi Sunak, il ministro delle finanze, di piano triennale di revisione della spesa – si, proprio lei, la spending review – per riportare sul sentiero della sostenibilità i conti pubblici.

Resa più complessa da importanti scadenze elettorali (Germania in autunno, Francia nella prossima primavera ed Italia chissà), anche a latitudini più basse si dovrà prima o poi cominicare a metter mano alla politica fiscale, riaprendo inesorabilmente il discorso parametri europei, su cui già si cominicia a ragionare.

Il cambio di fase per la politica monetaria e fiscale è dietro l’angolo. Gestirla e comunicarla sarà la grande sfida dei prossimi mesi. Operatori economici e mercati finanziari osservano con attenzione.

Foto di S. Hermann & F. Richter

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