Banche e sostenibilità ambientale, la strada è ancora lunga

Uno studio condotto dall’organizzazione no-profit Share Action ci dice che tra i 25 maggiori istituti bancari europei sono pochi quelli che hanno già messo in pratica politiche per il raggiungimento dell’obiettivo portafoglio a emissioni zero entro il 2050. Il binomio banche e sostenibilità ambientale, come per molti altri settori, fatica a decollare.

Come si stanno comportando “sul terreno” le banche rispetto ai temi della sostenibilità ambientale? A darci qualche informazione in proposito ci ha pensato l’ente no-profit Share Action che, nell’imminenza dell’importante congresso COP26 di Glasgow, ha cercato di verificare il grado di sostenibilità ambientale dei principali gruppi bancari europei.

Diciamolo subito, i risultati dello studio non sono per nulla incoraggianti. Felix Nagrawala, Jeanne Martin, Sonia Hierzig e Xavier Lerin hanno testato 25 grandi banche del vecchio continente su cinque diversi temi collegati al cambiamento climatico ed alla biodiversità, comparandone gli obiettivi, le azioni già messe in campo e quelle programmate.

Se ben 20 banche su 25 hanno messo su carta l’impegno di raggiungere un portafoglio ad emissioni zero entro il 2050, solo tre possono contare già da ora su una metrica completa per monitorare i progressi reali di questo impegno. Share Action ricorda, inoltre, che nel 2020 il 65% dei finanziamenti da parte delle banche al settore dell’energia fossile è stato erogato sotto forma di sottoscrizioni di debito o azioni, ma solo un banca – ed in maniera parziale – ne tiene conto nella misurazione dei progressi verso il target 2050.

Va un po’ meglio sul fronte della trasparenza rispetto al profilo ambientale dei soggetti destinatari di linee di finanziamento. Qui oltre la metà delle banche testate è in grado di fornire informazioni accurate sulle emissioni dannose dei propri clienti.

Nel complesso emerge una certa difficoltà da parte del settore bancario a staccarsi dalle industrie che fanno massiccio utilizzo di energia fossile ed in particolare del carbone. Del resto, ricorda l’organizzazione Rain Forest Action Network, nei cinque anni successivi alla firma degli accordi di Parigi, le 60 principali banche mondiali hanno destinato ben 3.8 mila miliardi di dollari a progetti legati all’energia fossile, 751 miliardi solo nel 2020.

Tornando allo studio di Share Action si scopre che meno della metà delle banche analizzate ha un “cronoprogramma” per l’azzeramento dei finanziamenti ai settori carboniferi, e solo sette hanno messo a punto un sistema di incentivazione alla transizione energetica da parte dei clienti; soltanto due banche hanno deciso di non finanziare più progetti di ricerca di nuovi giacimenti di petrolio o gas.

Sulla difesa della biodiversità, aspetto che la pandemia ha portato in primo piano, è buio pesto. Solo 10 banche hanno una policy dedicata all’argomento ed il tema della deforestazione sembra tristemente ai margini.

Il report di Share Action non va interpretato come un’accusa al mondo finanziario, ma è l’ulteriore prova di come avviare ed accelerare la transizione verso un modello economico climaticamente sostenibile sia estremamente complesso e richieda tempi lunghi. Utilizzare la sigla ESG richiede sforzi duraturi, trasparenza nella comunicazione di risultati e scelte drastiche.

Foto di Markus Distelrath

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