Fine del QE, la discussione entra nel vivo

Il dibattito attorno alla fine del QE sta entrando nel vivo, soprattutto negli USA. I mercati prendono nota.

I mercati finanziari continuano a monitorare con molto interesse le mosse delle banche centrali relativamente alle tempistiche della fine del QE. E queste ultime pesano accuratamente ogni singola parola per evitare pericolose ed inopportune fughe in avanti. Così il governatore della Bank of England, Bailey, settimana scorsa ha lanciato un primo segnale: un rialzo dei tassi sarà probabile, se i ritmi di crescita proseguiranno sui livelli attuali, entro il 2023. Frase accompagnata da ulteriori chiarimenti su quello che attende la banca centrale nel cammino verso la normalizzazione della politica monetaria. Parole che sembrano far parte di una tecnica bastone e carota (rialzo si ma in tempi lunghi) utile ad abituare i mercati alla nuova realtà.

Ancora più esplicito il messaggio lanciato, sempre settimana scorsa, dal vice presidente della Federal Reserve, Richard Clarida. Considerato tra i principali promotori della nuova politica monetaria statunitense, quella che ha sostituito il target puntuale di inflazione con la sua media, Clarinda parla esplicitamente di inizio 2023 come una data “entirely consistent“, vale a dire pienamente coerente, per un primo rialzo dei tassi di interesse.

Alla base della valutazione del vice presidente FED c’è il supporto alla ripresa che arriverà, da qui in avanti, dalla politica fiscale espansiva e dall’eccesso di risparmio accumulato dai consumatori statunitensi. In questo scenario l’inflazione – il cui rialzo è ancora una volta etichettato alla voce “fenomeno temporaneo” – già dal prossimo anno tornerà su livelli di assoluta sostenibilità, un po’ più alta rispetto a quella conosciuta nel pre-pandemia, ma in completa sintonia proprio con il nuovo modello di target definito dalla FED.

Una posizione più cauta è quella di Lael Brainard. Un nome che probabilmente sentiremo molto nei prossimi mesi. Membro del Board della FED e con un passato anche nella Casa Bianca, l’economista di origini tedesche è infatti una delle principali candidate a sostituire J Powell alla guida del board, ricevendo recentemente anche un esplicito endorsement da parte di un’influente senatrice della sua area politica di riferimento, vale a dire Elizabeth Warren.

In un recente meeting dell’Aspen Economic Strategy Group, Brainard si è concentrata sul bicchiere mezzo vuoto, vale a dire la situazione del mercato del lavoro statunitense. Con oltre 6 milioni di posti di lavoro ancora da recuperare – riassumendo il suo pensiero – è necessario attendere segnali di ripresa consistente dell’occupazione prima di iniziare a ridurre lo stimolo monetario. L’economia USA, sostiene Brainard , veleggia tra due scenari opposti: da un lato il rischio di surriscaldamento a causa della pent-up demand; dall’altro il rischio di frenare sotto i colpi delle varianti del coronavirus.

Più orientato ad un approccio rapido sembra essere il governatore della Fed di Atlanta, Raphael Bostic. In un recente intervento, Bostic ha affermato che dopo un paio di mesi di dati incoraggianti dal mercato del lavoro la FED dovrebbe iniziare la riduzione degli stimoli monetari. Un processo che condurrebbe ad un primo rialzo dei tassi entro la fine del 2022 nella visione di Bostic.

James Bullard, governatore della Fed di St. Louis, è sulla stessa lunghezza d’onda, ed anzi si spinge oltre, ipotizzando che il rientro dal QE potrebbe essere collocato temporalmente tra l’autunno di quest’anno e la primavera del prossimo.

Foto di NikolayFrolochkin

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