Fenomeno SPAC. Prima i capitali e poi il business

A metà ottobre di quest’anno 143 IPO a Wall Street hanno riguardato SPAC, veicoli finanziari creati per raccogliere capitali da destinare a future acquisizioni. Ma cosa sono e perchè sembrano piacere molto agli investitori?

C’era una volta l’imprenditore che, creato un business da un’idea, decideva di fare il salto e di quotarsi in borsa. Convincere le persone della bontà – redditività – della propria impresa era il nocciolo della questione. Se la cosa riusciva l’offerta pubblica iniziale, l’IPO nell’acronimo inglese, volava ed i nuovi capitali permettevano al nostro imprenditore di investire e crescere.

Tutto questo esiste anche oggi, ma a questo “modello base” di raccolta dei capitali se ne è affiancato uno completamente diverso. Nel 2016 sono state collocate sulla borsa statunitense 13 società “particolari”, le special-purpose acquisition companies, o più semplicemente SPAC.

Cos’hanno di particolare queste società? Potremmo dire che sono dei veicoli finanziari che rovesciano il procedimento raccontato due paragrafi sopra. Le SPAC raccolgono capitale per poterlo poi investire successivamente in un’attività redditizia. Attività che non è quindi individuata a priori ma che andrà trovata entro uno specificato arco temporale. Il funzionamento è, semplificando molto, il seguente. Un soggetto decide di raccogliere capitali dicendo agli investitori: “diventate miei soci, mettiamo assieme un bel gruzzolo e poi, una volta quotati, andiamo alla ricerca di un business interessante con cui fonderci”. Raccolti i fondi e terminata la collocazione, la SPAC individua il suo obiettivo, intavola trattative e successivamente entra nella società target attraverso – come detto – un’operazione di acquisizione o fusione.

Le SPAC non sono una novità assoluta nel panorama finanziario americano. Le prime, spesso disastrose, esperienze risalgono agli anni 90. Ma dal 2015 in poi, ci ricorda uno studio di McKinsey, una migliore regolamentazione, un aumento del capitale raccolto e l’entrata in scena di grandi investitori istituzionali ha cambiato completamente lo scenario.

Nel 2020 le nuove SPAC sbarcate sul listino di New York sono state 143; in un solo mese del 2020 hanno raccolto più capitali di quanto fossero riuscite a fare nell’intero 2019. Numeri che ci dicono quanto questa tipologia di società abbia fatto breccia tra gli investitori.

Perchè questa crescita repentina? Le motivazioni sono sostanzialmente due. La prima sta in una recente novità, una clausola di salvaguardia per l’investitore. Se la società obiettivo individuata non la si ritiene adeguata si può uscire dalla SPAC, con il rimborso delle quote possedute e degli interessi. Un unicum che rende le operazioni di fusione tramite SPAC molto più flessibili rispetto alle tradizionali M&A.

Il secondo motivo è legato alla sempre maggior presenza nel mondo delle SPAC di investitori istituzionali, capaci di mettere in campo risorse, intese come capitale umano, in grado di individuare business con prospettive di crescita; una garanzia in più per gli investitori. Per certi versi le SPAC potrebbero riportare sul mercato quella razionalità nella raccolta di capitali che le IPO classiche ultimamente sembrano aver un po’ smarrito (il caso WeWork è ancora vivo nella memoria).

Come ogni nuova esperienza, anche le SPAC dovranno perfezionarsi nel tempo. Sempre McKinsey ci ricorda che dal 2015 ad oggi questi veicoli, in media, non hanno sovraperformato il loro mercato di riferimento. Ma, e questo è un punto interessante, le SPAC con al comando manager con un bagaglio di esperienze non solo in ambito finanziario ma anche gestionale, sono riuscite a fare meglio del mercato in termini di performance.

Foto di mohamed Hassan

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