Le economie emergenti di fronte alla prova coronavirus. Investitori stranieri che “salutano” alla ricerca di lidi più sicuri, un dollaro sempre più forte e, in molti casi, bilanci statali precari.
Secondo i calcoli effettuati dall’Istituto Internazionale di Finanza, da inizio anno gli investitori hanno spostato qualcosa come 96 miliardi di dollari dai mercati delle economie emergenti verso, verosimilmente, lidi più tranquilli e valute meno “svolazzanti”, dollaro USA in primis. Real brasiliano, Peso messicano e Rand sudafricano – ad esempio – hanno perso qualcosa come il 25% rispetto al biglietto verde nel giro di qualche mese.
La crisi scatenata dalla pandemia rischia di presentare conti molto salati specialmente nelle economie emergenti e gli investitori, fiutato il pericolo, agiscono di conseguenza.
Alla base di tale comportamento ci sono anche queste due importanti considerazioni. La prima riguarda il debito totale che “pesa” come un macigno su queste economie. Sul punto basta ricordare i dati del Global Debt Database, ne parlavamo alcune settimane fa in un post, citando il dato più significativo:
Nelle economie emergenti la situazione è ancora più complicata. Nel 25% dei paesi di questo gruppo il debito/PIL è superiore al 70%.
Oltre a ciò dobbiamo ricordare come gran parte delle emissioni obbligazionarie delle economie emergenti siano denominate in dollari americani, cosa che, in questo periodo, determina un aumento degli oner finanziari da pagare ed il prosciugamento delle riverse monetarie in biglietti verdi. I paesi più “fortunati” si sono rifugiati sotto l’ombrello delle operazioni di swap con la FED (Brasile, Messico, Singapore e Sud Corea), agli altri non resta che sperare nell’FMI.
La seconda osservazione riguarda la condizione dei bilanci statali di molte economie emergenti. Il caso Sud Africa è forse il più emblematico. Già prima dell’arrivo della pandemia, dalle parti di Pretoria, le entrate fiscali erano in affanno. Il deficit/PIL nel 2019 è sceso a -6.3% ed il PIL ha segnato due trimestri consecutivi a crescita negativa.
Due paesi low-income su cinque sono a rischio dissesto finanziario per la troppa esposizione debitoria statale.
Stando a quanto riferisce The Economist, le economie emergenti, nel loro complesso, hanno bisogno di una iniezione complessiva attorno ai 2,5 trilioni di dollari e già 90 paesi avrebbero bussato alla porta dell’FMI per richiedere un aiuto. Aiuto che l’FMI non può garantire, contando su una “potenza di fuoco” attorno ad 1 trilione di dollari.
Asia e Africa, i continenti con il maggior numero di economie emergenti, rischiano di diventare un campo di battaglia, dove gli effetti economici e sociali del post coronavirus potrebbero durare per molto tempo.