Lagarde: “Poche munizioni rimaste”. L’ultimo monito della governatrice della BCE

La governatrice della BCE, Christine Lagarde, avverte che le battaglie condotte dalla banca centrale negli ultimi anni hanno lasciato il segno. E così l’autorità monetaria si trova con poche munizioni di fronte ai nuovi rischi globali.

Nella consueta audizione di fronte alla commissione economica del parlamento europeo, Christine Lagarde, la governatrice della BCE, non usa mezzi termini. Le tante crisi affrontate in questi anni hanno consumato molte delle “munizioni” a disposizione della banca centrale per sostenere la stabilità dei prezzi e dei mercati finanziari.

Di fronte alle nuove sfide, avverte Lagarde, l’autorità monetaria si ritrova con un campionario sempre più ristretto di stimoli. Ma se lo spazio per la politica monetaria si restringe, resta amplissimo quello, desolatamente vuoto, della politica fiscale.

Non è un allarme che risuona per la prima volta, quello lanciato dalla governatrice della BCE; e di certo la Banca Centrale Europea non è l’unica istituzione ad aver ammonito le autorità politiche sulla, ormai esigua, possibilità di supplenza alla politica fiscale da parte della politica monetaria di fronte alle sfide globali che avanzano.

E di sfide ce ne sono davvero tante. A cominciare dall’epidemia di coronavirus i cui effetti sull’economia mondiale sono ancora tutti da stimare. La banca centrale cinese è intervenuta pompando liquidità sui mercati finanziari, mentre nei paesi più esposti dal punto di vista commerciale le autorità monetarie cominciano a muoversi. Filippine e Thailandia hanno già provveduto ad un taglio dei tassi di riferimento e la situazione è attentamente vigilata negli altri paesi ad alto rischio: Vietnam, Malesia, Taiwan, Corea del Sud.

La bassa inflazione registrata negli ultimi anni, molto probabilmente, consentirà a questi paesi di agire sulla leva monetaria senza troppe complicazioni. Ma cosa potrà fare di più la BCE?

L’economia europea sta dando piccoli segnali di stabilizzazione, in un contesto ancora molto fragile; in questo senso il dato sugli ordinativi tedeschi di ieri ne è la prova.

Oltre al già citato coronavirus, occorre ricordare come il commercio internazionale è ancora al centro di molte contese. La campagna “America First” del presidente americano Trump, ad esempio, non è per nulla finita. Poche settimane fa, da Davos, è stata annunciata la volontà di riformare il WTO. Si dice che Washington è al lavoro per il ritiro americano dal WTO Government Procurement Agreement (GPA), un accordo commerciale internazionale sulle commesse nel settore della pubblica amministrazione con un valore stimato di circa 1,7 trilioni di dollari. Dovesse essere confermata, questa iniziativa si tradurrebbe in una perdita ingente per molte aziende sparse in tutto il mondo; anche nell’Unione Europea.

Vanno ricordate, poi, le prossime tappe della revisione degli accordi commerciali statunitensi; dall’India all’Unione Europea, fino alla Gran Bretagna post Brexit. Il modus operandi del presidente americano, mai come in questo momento in forte odore di rielezione, lo conosciamo bene.

Da sola, la politica monetaria non può farcela. Gli strumenti non convenzionali sono, spesso, salti nel buio. Serve un forte impegno da parte dei governi, uno slancio espansivo e, per l’Unione Europea, uno spirito unitario.

Foto di homer0922

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