Una BCE ultra “dovish”, sempre più colomba, dopo le decisioni di fine settembre? I mercati hanno apprezzato, la politica anche ma c’è chi dice no.
A guardarle a due settimane di distanza, le decisioni prese dal Board della Banca centrale europea sembrano decisamente azzeccate. I dati della zona euro continuano a mostrare un rallentamento dell’economia, accompagnato da un’inflazione bassa, ben al di sotto del livello target del 2%. Una BCE ultra “dovish” che è piaciuta sicuramente ai mercati e che ha raccolto commenti positivi anche dagli ambieti politici europei. C’è però una fronda, piuttosto numerosa, che non si allinea al mainstream e dice no.
Capofila di questo nutrito gruppo del no è sicuramente il presidente della banca centrale tedesca, Jens Weidmann, che ha parlato di un board oltre i limiti consentiti. Al “falco” tedesco si sono aggiunte, però, altre voci importanti, le quali sostengono la loro avversione alla versione “colomba” della BCE con motivazioni di cui è giusto tener conto.
Robert Holzmann è il governatore della banca centrale austriaca, ed è uno dei membri del consiglio direttivo della BCE ad aver votato contro il nuovo round di allentamenti. Il suo giudizio sulle ultime decisioni del board presieduto da Mario Draghi è netto. Holzmann sostiene che una politica monetaria troppo espansiva porta a meno crescita e abbassa la produttività del sistema. Rincara la dose Oliver Baete, AD di Allianz, che stronca l’operazione. Dice Baete che inondando di liquidità il sistema si crea un meccanismo perverso nel quale la politica fiscale è incentivata a non agire. Sulla stessa lunghezza d’onda anche il pensiero, riportato dall’Economist, di Henrik Ederlein, presidente e professore di economia politica presso la Hertie School of Governance di Berlino. Per Ederlein il messaggio – negativo – arrivato alle orecchie della politica è che la banca centrale è sempre disponibile a “salvare” la situazione.
Per i detrattori della linea Draghi, in definitiva, una BCE ultra “dovish” rischia di ritrovarsi al servizio delle cancellerie europee, pronta ad intervenire per tappare i buchi lasciati da una politica fiscale che non vuole sporcarsi le mani.
Ma le critiche alle decisioni espansive della Banca Centrale Europea non finiscono qui. Più che di critiche forse dovremmo parlare di preoccupazioni. E sono quelle espresse da molti analisti (tra cui quelli di BlackRock) sulle residue armi rimaste alla politica monetaria nel caso in cui dovesse affacciarsi una recessione economica, magari accompagnata da sbuffi di deflazione. Si sostiene che l’abbassamento dei tassi può diventare inefficace e che le banche centrali devono dotarsi di strumenti di pronto intervento fiscali (standing emergency fiscal facility) per poter incidere direttamente sul livello dei prezzi (uno di questi strumenti è il famoso helicopter money di cui abbiamo parlato alcuni giorni fa).
Infine c’è il capitolo banche. Una politica di tassi negativi sui depositi rischia di incidere pesantemente sui bilanci degli istituti bancari europei. Centro della protesta è la Germania dove gli “Strafzinsen“, i tassi punitivi, della BCE continuano a “non andar giù”. Una recentissima ricerca di Amundi spiega come, su un totale di 1,8 trilioni di euro depositati presso la BCE dalle banche del sistema, solo 800 miliardi beneficeranno del cosiddetto “tiering“, vale a dire l’esenzione dal pagamento del tasso negativo dello 0,5%. Un risparmio di circa 4 miliardi di euro annui che corrisponde ad un 2% dei ricavi medi del settore bancario europeo. Non un gran risparmio, insomma. Occorre inoltre tenere conto, sottolinea Amundi, che i bilanci bancari, orientati al rigore ed al controllo del rischio, vedono oramai una predominanza dei depositi rispetto agli impieghi. Ed in presenza di tassi negativi questo incide sulla redditività.
Foto di Gerd Altmann