PIL USA, quanta incertezza in quel 2,9%

Il PIL USA è cresciuto nel 2018 del 2,9%. Per trovare un dato simile occorre tornare indietro fino al 2006 (allora fu +3,2%); nel 2017 la crescita della ricchezza prodotta dagli Stati Uniti si era fermata al 2,2%. La favola continua? Forse, ma a leggere i dati si intravede tanta, tanta incertezza.

Il primo dato che salta all’occhio è la performance dell’ultimo trimestre dell’anno scorso. Il dato stimato si ferma ad un +2,6%, in sensibile flessione rispetto ai due trimestri precedenti (4,2% il secondo, 3,4% il terzo), segno di un rallentamento che, per trascinamento e complice anche lo shutdown di fine 2018, porterà il primo trimestre 2019 a confermare la fase di debolezza dell’economia americana.

Ma da cosa dipende questa debolezza? E qui cominciano i dati contrastanti. A sorpresa, nel quarto trimestre, la domanda interna ha registrato dati brillanti. I consumi sono aumentati del 2,8%, gli americani hanno continuato a comprare, specie nel settore auto, salute e finanziario.

Anche le aziende hanno sorpreso gli analisti con un paio di dati in controtendenza. E’ aumentato il valore delle scorte ed è salita la spesa in investimenti e macchinari.

Se lo shutdown, come sostiene il Bureau of Economic Analysis, ha impattato nel trimestre per uno 0,1% in negativo, viene da chiedersi dove sia la falla che ha “drenato” crescita negli ultimi tre mesi del 2018. Settore immobiliare e commercio internazionale sono le risposte più plausibili.

Gli investimenti in nuove costruzioni sono scesi di un altro 3,5% (quarto ribasso consecutivo). Le vendite di case hanno segnato (nel gennaio del 2019) il livello più basso da tre anni a questa parte. Sempre dai dati del 2019, le richieste di nuovi mutui sono scese, secondo la Mortgage Bankers Association, del 3,7% nella prima settimana di febbraio e questo nonostante una leggera diminuzione dei tassi di riferimento.

La forbice tra importazioni ed esportazioni si è allargata a favore delle prime. Le esportazioni sono aumentate nel quarto trimestre 2018 dell’1,6%, superate dalle importazioni che hanno registrato un rialzo del 2,7%. Un dollaro forte e le tensioni sul commercio internazionale sono le peggiori preoccupazioni per gli esportatori USA.

Dati contrastanti che vengono riassunti nel leading index elaborato dalla Federal Reserve Bank of Philadelphia. Un indicatore anticipatore della crescita dell’economia nel semestre successivo e che ciondola da molti mesi attorno a quota 1.


Federal Reserve Bank of Philadelphia, Leading Index for the United States [USSLIND], retrieved from FRED, Federal Reserve Bank of St. Louis;  www.fred.org

L’economia americana resta nel limbo. Tra l’esaurirsi dei bonus fiscali voluti da Trump e le difficoltà crescenti delle esportazioni si intravedono anche opportunità di crescita, un mercato del lavoro stabile ed un’inflazione tutto fuorchè incontrollata.

Ed è anche per questo che i mercati azionari USA continuano ad aspettare. Disinnescate le “smanie” rialziste della FED, l’impressione è che un accordo tra USA e Cina possa davvero rappresentare il turning point del 2019.

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