Le domande improvvise: ma chi sono keynesiani e monetaristi?

Capita spesso, anche nei frequentissimi dibattiti televisivi, di sentir parlare di provvedimento keynesiano o di pensiero monetarista. Ma chi sono keynesiani e monetaristi?

Quando si parla di keynesiani e monetaristi si parla sostanzialmente di differenti visioni di come scorra la vita di un’economia. Il ciclo economico, che abbiamo visto essere composto da fasi di crescita e fasi di contrazione, è da sempre oggetto di studio da parte degli economisti.

Fino alla grande recessione statunitense del 1929, il pensiero dominante era che l’alternarsi dei vari cicli economici fosse qualcosa di intrinseco alla natura stessa dell’economia. La severità della crisi che sconvolse gli Stati Uniti nel ’29 mandò al tappeto questa concezione “fatalista” del ciclo economico ed aprì la strada ad un dibattito serrato. Si evidenziarono così visioni differenti: i neoclassici, la scuola austriaca, i keynesiani, i monetaristi e – in tempi più recenti – i neo keynesiani.

Oggetto di tutte queste posizioni teoriche è il ciclo economico ed i meccanismi che ne regolano le varie fasi. Secondo la teoria neoclassica i mercati hanno una loro capacità di trovare un equilibrio tra domanda ed offerta, esiste una “mano invisibile” capace di gestire i momentanei disequilibri, ossia uno shock della domanda o dell’offerta, trovando un nuovo livello dei prezzi di beni e servizi al quale la domanda eguaglia l’offerta. La base teorica dei neoclassici è la Legge di Say, un economista francese di fine 1700, il quale sosteneva, riassumendo ai minimi, che tutto ciò che viene prodotto è destinato ad essere venduto, poichè l’offerta è capace di crearsi la domanda necessaria.

La visione neoclassica però non aveva gli strumenti per spiegare quanto successo nel 1929. Il dibattito era quindi destinato a continuare. Un primo tentativo di superamento della concezione neoclassica fu quello attuato dalla cosiddetta scuola austriaca. Alcuni economisti, come von Hayek e von Mises, provarono ad integrare la teoria neoclassica con l’introduzione di due “variabili” non contemplate dal precedente modello: la moneta ed il governo. La scuola austriaca ipotizzava che l’intervento dei governi, nel tentativo di aumentare la ricchezza prodotta e l’occupazione, influiva sull’alternarsi delle fasi di un ciclo economico ed in particolare rischiava di generare una profonda fase di recessione. Per la scuola austriaca la manipolazione dei tassi di interesse, messa in atto dai governi, spingeva le imprese a fare più investimenti di quanto fosse necessario; non appena le imprese si fossero accorte di aver accumulato un surplus di infrastrutture avrebbero cessato improvvisamente di investire causando una forte compressione della domanda. In questi casi, sostenevano, l’unico modo per tornare ad un equilibrio era quello di lasciare scivolare verso il basso sia i prezzi che i salari, fino a tornare ad un livello di equilibrio.

A queste visioni si contrappone fortemente la teoria sviluppata in primis da John Maynard Keynes. Secondo il famoso economista britannico l’aggiustamento di prezzi e di salari verso il basso, ipotizzata da neoclassici e scuola austriaca, non era facilmente percorribile. In primis non tutti i lavoratori avrebbero voluto o potuto accettare una contrazione salariale e comunque questa avrebbe avuto un effetto negativo sulla domanda, aggravando la crisi invece di curarla. Sempre secondo Keynes, anche l’abbassamento dei tassi di interesse poteva non riuscire a riaccendere la crescita a causa del basso livello di fiducia degli operatori raggiungibile in una prolungata fase di crisi.

Per Keynes era corretto attendersi che il governo intervenisse in una fase di recessione per sostenere, con una politica fiscale accomodante, il mercato dei capitali e del lavoro. Keynes, con perfetto humor inglese, affermava di credere che nel lungo periodo l’equilibrio neoclassico può essere raggiunto ma, aggiungeva, “nel lungo periodo saremo tutti morti”.

In estrema sintesi possiamo dire che i keynesiani sono coloro i quali pensano che l’intervento dello stato, in una situazione di grave recessione, sia fortemente necessario in quanto l’attesa del ritorno all’equilibrio “naturale” tra domanda ed offerta potrebbe non essere sopportabile per gli operatori economici.

Alla visione keynesiana si contrappose quella esemplificata dalle posizioni di un altro economista inglese, Milton Friedman. I monetaristi, così vennero chiamati, obiettavano a Keynes di non aver dato il giusto peso al ruolo della moneta e di aver tralasciato i pesanti effetti sul lungo termine di una politica fiscale accomodante (debito ed interessi sul debito). Per i monetaristi, inoltre, la velocità con la quale una politica fiscale accomodante può esplicare i suoi effetti rimane incerta.

Cosa propongono quindi i monetaristi? Secondo questa visione, la cosa importante è controllare l’offerta di moneta, mentre il ruolo dei governi dovrebbe rimanere marginale.  Per sostenere la crescita economica l’offerta di moneta dovrebbe aumentare in maniera continua ma moderata, una crescita troppo rapida rischia di creare un surriscaldamento dell’economia, insostenibile da parte degli operatori; un’offerta di moneta che cresca ad un ritmo troppo lento può indurre l’economia in una fase di recessione.

Nel corso del tempo sono state sviluppate ulteriori teorie per cercare di spiegare un ciclo economico. Da qualche tempo si sta assistendo ad un tentativo di elaborare una visione del ciclo economico che metta assieme keynesiani e monetaristi, partendo dal riconoscimento dei primi della funzione regolatrice della politica monetaria sulle fasi del ciclo economico e dall’ammissione, da parte dei secondi, che l’intervento di stimolo fiscale, in fasi di pesante recessione, è auspicabile.

 

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