Le fasi del ciclo economico possono ancora dirci qualcosa?

Nella sua “Intermarket review” Martin J. Pring  suddivide il ciclo economico in 6 fasi distinte. In ognuna di queste fasi si assiste all’inversione di tendenza di uno dei tre mercati principali (azionario, materie prime ed azioni). Il modello teorico del ciclo economico può ancora essere un utile strumento per i nostri investimenti? 

Credo che tutti noi sappiamo, in linea di massima, cosa si intende per ciclo economico. Stiamo sostanzialmente parlando di quella linea ondulata che unisce i punti di massima espansione (massima crescita economica) e di massima recessione (massima decrescita) di una economia. La sua tipica forma ad onda ci ha sempre detto una cosa: la storia si ripete, a fasi di crescita si alternano fasi di decrescita.

Il ciclo economico ha uno stretto rapporto con i mercati finanziari tanto che esistono modelli che spiegano l’andamento delle principali asset (azioni, obbligazioni e materie prime) rispetto alle fasi del ciclo economico.

Citavamo in introduzione il lavoro di Martin J. Pring. Nel suo “Intermarket review” suddivide il ciclo economico in 6 fasi ognuna delle quali è caratterizzata da un’inversione di tendenza di una delle asset class principali. Secondo Pring le tendenze primarie del mercato azionario ed obbligazionario tendono a proseguire finchè trovano conferma l’una nell’altra. Quando l’andamento dei due mercati tende a divergere conviene drizzare le antenne ed iniziare ad aumentare il livello di prudenza nel prendere decisioni di investimento.

Statisticamente si può dire anche qualcosa di più. Il mercato obbligazionario, quando svolta, tende ad anticipare il mutamento del ciclo economico, precedendo le mosse del mercato azionario e fungendo da sostanziale “campanello d’allarme”. Azioni e materie prime tendono invece a cambiare andamento in prossimità dei punti di svolta del ciclo economico.

Le sei fasi definite da Pring sono utili anche per identificare gli strumenti più idonei con i quali investire in ogni singola fase (questo lo vedremo però in un altro post…).

La prima fase è quella dell’inizio della contrazione economica. In questo frangente il mercato obbligazionario inverte la rotta e da ribassista diventa rialzista. Azioni e materie prime rimango al ribasso.

Nella seconda fase la recessione arriva al suo massimo. I tassi di interesse raggiungono i minimi ed il mercato azionario svolta verso l’alto. Le materie prime rimangono al ribasso mentre le obbligazioni proseguono al rialzo.

La terza fase vede l’inizio della ripresa. E’ la fase nella quale tutti i mercati prendono la stessa direzione, quella del rialzo.

La quarta fase consolida la ripresa con le obbligazioni che, sulla scia delle spinte inflazionistiche, raggiungono i massimi e cominciano a scendere. Azioni e materie prime proseguono la corsa al rialzo.

La quinta fase tocca il picco della crescita. Le spinte inflazionistiche si trasformano in tassi di interesse al rialzo e questo porta a svoltare verso il basso anche il mercato azionario. Al rialzo rimangono solo le materie prime.

L’ultima fase, la sesta, presenta un ciclo economico che tende a rallentare. Svoltano anche le materie prime ed il trio ora è tutto ribassista.

E’ ancora possibile calare questo modello sulla realtà del terzo millennio? Possiamo capire, ad esempio, se oggi gli USA sono nella fase 4 o nella fase 5 del ciclo economico? Il problema principale è determinare quanto l’inondazione di liquidità e la massiccia presenza di contratti derivati abbia inquinato la “scena del delitto”.  Sicuramente i tassi sotto zero potrebbero aver ritardato, e di moltissimo, la svolta del mercato obbligazionario pompandone i prezzi. La bassa inflazione frutto della goldilocks economy è un altro fattore che potrebbe aver “drogato” il mercato azionario.

C’è il rischio, che, storditi da QE e bassa inflazione, i mercati si risveglino di colpo molto più vicini alla fine della festa di quanto si aspettassero. Motivo in più per ripetere il mantra del momento: prudenza!

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