Le borse, come il clima, ci stanno abituando ad eventi sempre più estremi. Ecco allora, in un freddo giorno di febbraio, che crolla Wall Street e porta giù tutti i principali listini mondiali. Scatta la corsa per attribuire la partenità dell’accaduto al politico di turno ma questa volta Trump non c’entra nulla.
Partiamo da un tweet di Bloomberg che ci mostra, con un significativo grafico, l’andamento del Dow Jones nel giorno del crollo di Wall Street. Un Flash Crash immortalato dalla profonda “v” poco dopo le 3 del pomeriggio.
Dow’s 15-minute plunge had elements of a ‘flash crash,’ ISI says https://t.co/VusQtZ9aoS pic.twitter.com/3cSvuCM1rE
— Bloomberg Markets (@markets) February 6, 2018
La correzione tanto attesa dai mercati è arrivata come una sciabolata sfruttando i timori di una possibile accelerazione al rialzo dell’inflazione americana. Timori che, complice la situazione di ipercomprato che aleggiava sulle borse di tutto il mondo, ha scatenato le prese di profitto.
Il VIX, l’indice che monitora la volatilità del mercato, ha fatto un ampio balzo in avanti e questo ha scatenato gli algoritmi che, sempre più spesso, presiedono alle contrattazioni. Il risultato è stato un crollo improvviso, rapido e talmente profondo da segnare un record (mai si era visto il Dow perdere 1600 punti durante una sola seduta). Racconta bene la cosa il giornalista de IlSole24ore Morya Longo in questo tweet.
Algoritmi impazziti in #Borsa: sale la volatilità (grafico sotto) e scattano le vendite automatiche in Borsa. Così è nato il flash crash di Wall Street di questa sera: ormai i mercati hanno una vita tecnologica propria. È sono sempre più distanti dall'economia reale. pic.twitter.com/wd1i2xIsNL
— Morya Longo (@MoryaLongo) February 5, 2018
I media si scatenano con aggiornamenti minuto per minuto ed iniziano a fioccare anche i primi commenti. C’è chi accusa Trump, chi accusa Obama ma, mai come in questo caso, la politica non c’entra proprio nulla come non c’entra niente nemmeno l’economia reale.
Abbiamo sempre detto di come i mercati si basino sulle aspettative e nel post di ieri ricordavamo come l’attesa di un’inflazione più alta del previsto abbia dato la stura ad un movimento dei listini che, fra l’altro, attendevamo oramai da mesi.
Paradossalmente siamo passati dalla preoccupazione per una inflazione che non cresceva (lo spauracchio deflazione è di pochi mesi fa) ad uno scenario nel quale la FED è costretta a stringere la corda più rapidamente di quanto programmato. Hanno ragione i mercati? Si tratta di una scommessa, i dati attuali ci dicono solo che i salari negli USA sono in aumento e che l’inflazione è attesa in crescita nei prossimi mesi. In ogni caso siamo di fronte ad effetti del tutto naturali in una fase di crescita economica. Effetti resi particolari da anni di tassi a zero che hanno fatto navigare nell’oro gli investitori e la cui risalita preoccupa i mercati.
L’economia reale prosegue ancora nella sua fase di crescita, gli Stati Uniti sono prossimi alla piena occupazione, la Germania segna in gennaio un nuovo record nella produzione industriale e si attendono a breve i dati trimestrali delle grandi società quotate.
Lo “scarico” tecnico dei mercati azionari era da mettere in conto ma da qui a fare altre considerazione ce ne corre. Occhi ben aperti e, soprattutto, non buttiamola in politica.