Davos e quel retrogusto di incertezza

Nell’incantato scenario delle Alpi svizzere prosegue il consueto carosello di banchieri, politici e finanzieri che va sotto il nome di World Economic Forum. Ma dopo i primi giorni pare sempre più evidente come, a fronte di una situazione macro quasi perfetta, serpeggi un retrogusto di incertezza e la causa principale è la fine della politica monetaria accomodante.

In epoca di Goldilocks Economy anche Davos sembra più fiaba che mai. Paesaggi innevati fanno da scenografia alle mille interviste e l’ottimismo sembra condire tutto in maniera quasi eccessiva.  In realtà i problemi sul tappeto sono tanti e passano spesso inosservati, travolti dalle muscolari percentuali di crescita del PIL Mondiale. Clima, nuovo protezionismo, fine degli stimoli monetari sono tra i nodi che si cerca di investigare in queste ore.

Tra le voci sentite anche due nomi piuttosto pesanti nel mondo della finanzia, il ceo di JP Morgan (Dimon) ed il capo dell’hedge fund Bridgewater Associates’ Ray Dalio. Per entrambe il messaggio da Davos si potrebbe sintetizzare con un ritornello piuttosto famoso ed ultimamente piuttosto divisivo: fin che la barca va, lasciala andare. In altre parole quello che abbiamo vissuto nel 2017 sembra essere uno scenario replicabile anche al 2018. Crescita ed un mercato azionario in grado di continuare a macinare record. Se ostacoli non se ne vedono è inutile pensare a scenari diversi, nessuno però – ecco le mani avanti -può negare l’esistenza di ostacoli a breve (tassi di interesse, geopolitica…). Dalio, in particolare, mette in evidenza le problematiche che potrebbero derivare da un aumento dei tassi di interesse, specie per il comparto del reddito fisso.

Fuori dal coro Jes Staley (CEO di Barclays) che dice di vedere molte similitudini tra l’attuale situazione dei mercati finanziari ed il periodo pre 2008. Per Staley la crescita è robusta, tutto va alla grande (questa è l’evidenza dei fatti) ma c’è un piccolo particolare, anzi 3. Viviamo ancora in un mondo inondato di liquidità, con gli assets values ai massimi e società che crescono con ritmi attorno al 20% annuo. In una situazione di questo genere basta una correzione troppo veloce o una manovra leggermente troppo abbondante per creare disequilibrio.

E che nel mare di ottimismo di facciata nuoti una certa ansia sembrano essersene accorti anche gli osservatori, con il WSJ che parla di “an undertone of anxiety ”  tra i delegati presenti.  Il WEF di Davos non ha mai brillato per la capacità di azzeccare previsioni, fossero esse macroeconomiche o politiche ma fa un certo effetto questa ritrosia a schierarsi, dando un colpo al cerchio ed uno alla botte.

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