PIR. Qualche nozione e qualche cruccio sui Piani Individuali di Risparmio

I PIR sono tra noi. Da inizio anno gli investitori italiani hanno a disposizione un nuovo modo per impegnare i propri risparmi. Ma cosa sono i piani individuali di risparmio e a chi convengono?

I PIR sono una nuova modalità di investimento che mira ad incentivare la raccolta di risparmio a medio/lungo termine ed a far confluire capitale fresco al tessuto economico nazionale. Per renderli appetibili ad un pubblico che fosse il più vasto possibile, sono stati resi esenti da tassazione (capital gain, donazione e successione) ed inseribili in veicoli di vario genere (dai fondi alle polizze). Ma andiamo con ordine…

La nostra economia soffre -lo sappiamo bene – e parte di questa sofferenza deriva dalla mancanza di liquidità, cioè di quei soldi utili per investire ed affrontare le sfide del mercato globale. In quest’ottica le sfere legislative hanno pensato di coinvolgere, data la stitichezza bancaria, i risparmi dei privati. Questa, in brevissimo, la motivazione che ha portato alla nascita di una nuova forma di raccolta del risparmio: i piani individuali di risparmio, acronimo PIR.

Delimitiamo il campo. Un piano individuale di risparmio è un investimento della durata minima di 5 anni e di ammontare massimo di 150mila euro (massimo 30000 euro/anno). L’investimento deve avere determinate caratteristiche:

  1. il 70% dei soldi investiti deve essere utilizzato per l’acquisto di strumenti finanziari da imprese italiane quotate o non, che svolgono attività diverse da quella immobiliare, o anche società europee ma con stabile organizzazione in Italia (da chiarire).
  2. Del 70% di cui sopra una parte, almeno il 30%, deve essere investito in strumenti emessi da imprese non appartenenti all’indice Ftse Mib della Borsa Italiana o indici equivalenti degli altri Paesi
  3. Non si possono detenere titoli (azioni, obbligazioni) di uno stesso emittente per più del 10% del valore del PIR

Se il nostro investimento soddisfa queste condizioni il fisco ci riconosce un premio: la tassazione su cedole, dividendi, capital gain, successioni e donazioni è pari a 0.

Qui terminano le certezze, ossia le caratteristiche che sicuramente avrà un PIR. Notate bene che quindi l’unico vantaggio sicuro e certo che questa modalità di investimento può dare è l’esenzione dalle tasse. Il resto dipende da molti altri fattori e lo vediamo ora.

Abbiamo sino ad ora parlato di investimento ma, nel concreto, di cosa stiamo parlando? La normativa parla genericamente di un veicolo, un contenitore, nel quale inserire strumenti finanziari (azioni ed obbligazioni, da chiarire la possibilità di inserirvi derivati) con le caratteristiche viste prima. Questo veicolo può essere un semplice conto deposito titoli (ipotesi più ardua ma teoricamente possibile) oppure un prodotto dell’industria finanziaria. In commercio ci sono già fondi comuni di investimento e polizze vita con appiccicata la dicitura PIR. In futuro non è escluso l’arrivo di Etf a tema.

Ad oggi per attivare un PIR occorre acquistare quote di un fondo comune di investimento, aderire ad una gestione patrimoniale o sottoscrivere una polizza unit linked (si si, proprio lei).

I crucci

I crucci su questa tipologia di investimento sono principalmente tre: i costi di gestione, la redditività e la rischiosità.

Partiamo dai costi. Abbiamo detto che, ad oggi, se vogliamo attivare un PIR dobbiamo comprare un prodotto finanziario. Questo significa che avremo a che fare con un costo di gestione e talvolta con costi di ingresso e (udite udite) costi di performance. Se state pensando ad un PIR è bene informarsi su tutti i costi del prodotto che la banca o l’assicuratore vi propone.

La redditività. Qui si naviga al buio. Alcuni attenti analisti hanno costruito qualche serie storica che disegna un mercato azionario italiano penalizzante rispetto ad altri in termini di rendimento reale. Meglio ha fatto quello obbligazionario in linea con il rendimento offerto da altri mercati.

La rischiosità. Per come sono strutturati, i PIR non offrono diversificazione geografica e questo potrebbe essere un problema. Proprio per questo è bene dedicare, se proprio lo si vuole, solo una parte del proprio patrimonio a questa iniziativa. Altro punto critico è la parte (il 21% del portafoglio complessivo) dedicata a strumenti non quotati. Investire in strumenti non quotati ci potrebbe esporre a rischi di liquidità e,spesso, a problemi di trasparenza informativa. Per legge sarà escluso il settore immobiliare ma rientrano settori come quello finanziario, la cui poca trasparenza sappiamo a cosa ci ha condotto.

L’impressione complessiva è che, in linea teorica, questa nuova opportunità di investimento possa essere interessante ma non sembra adatta a tutti. Il vantaggio fiscale non deve abbagliare. Ottimo che ci sia, nulla da dire, ma non deve assolutamente distogliere la nostra attenzione dal cosa stiamo comprando, dove andranno i nostri soldi e quanto ci costerà affidare questi soldi ad un gestore.

Percepire la strategia di investimento ed il grado di rischio a cui ci si espone non è per nulla semplice. Occorrono perciò capacità di analisi ed una minima conoscenza degli strumenti finanziari. Capire la differenza tra uno strumento quotato ed uno non quotato, conoscere la struttura di costo di una polizza assicurativa.

Per essere chiari, se fino ad ora avete investito in BOT, Buoni Postali, Conti remunerati e Pronti con Termine non è, per quanto ne sappiamo fino ad ora, il caso di prendere i PIR in considerazione.

Ci torneremo.

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